La Cina importa talenti stranieri

La Cina importa talenti stranieri

Pechino, 26 gen.-  Massicci investimenti in innovazione: fatto. Acquisizione di tecnologie: fatto. Cosa manca alla Cina del 2012 per continuare l'attuazione delle linee guida dell'ultimo piano quinquennale, e favorire la transizione da "fabbrica" a "laboratorio" del mondo? Nel "carrello della spesa" di Pechino manca ancora l'esperienza in alcuni settori nevralgici, necessari per imprimere la svolta decisiva, e allora il Dragone corre a cercare talenti all'estero: la SAFEA (State Administration of Foreign Affairs) cinese ha annunciato giovedì una serie di programmi per attrarre esperti stranieri in quattro industrie chiave nell'arco dei prossimi cinque anni.

 

Agricoltura, manifatturiero, servizi e software: la SAFEA vuole attingere al talent pool formatosi all'estero in questi campi per accelerare il cambiamento, e offre un milione di yuan (120mila euro, o 157mila dollari) ai professionisti che si trasferiranno sulla Grande Muraglia.

 

I progetti sul manifatturiero la dicono lunga sul tipo di aggiornamento che vuole condurre Pechino: tra i settori incoraggiati, nei quali la Cina cerca 2mila innovatori dall'estero, ci sono le energie rinnovabili, le produzioni hi-tech e la ricerca sui nuovi materiali.

 

Sul fronte dei servizi, spazio a chi è capace di istruire gli operatori cinesi nel campo della finanza, delle assicurazioni, della sicurezza e dei trasporti integrati. Ancora più eloquente la scelta del software: il Dragone vuole creare cinque centri internazionali per lo sviluppo.

 

I posti sono abbastanza limitati –tra i 500 e i mille, distribuiti su dieci anni- ed è richiesta la massima competenza: il Dragone spera così di trovare una soluzione al passaggio da "Made in China" a "Designed in China", che negli ultimi tempi sembra essere diventato il chiodo fisso della leadership cinese.

 

La Cina non è in grado di ideare da sola? A scorrere le statistiche non si direbbe proprio: secondo una ricerca pubblicata da Thomson Reuters a dicembre nel 2011 la Cina è diventata il primo Paese al mondo per la registrazione di nuovi brevetti, superando Stati Uniti e Giappone. Nell'arco di cinque anni i brevetti depositati in Cina sono cresciuti ad una media annuale del 16.7%, dai 171 mila del 2006 ai quasi 314mila dello scorso anno.

 

E non si tratta solo di brevetti depositati in Cina, dove le pratiche sulla tutela della proprietà intellettuale sono particolarmente disinvolte. I dati forniti dal WIPO (World intellectual Property Office) mostrano che le società dell'Impero di Mezzo stanno scalando anche  la vetta delle classifiche internazionali: nel 2010 ZTE Corp –il numero due delle telecomunicazioni in Cina- ha tallonato da vicino i primi della classe, i giapponesi di Panasonic. Al terzo posto a livello globale troviamo la statunitense Qualcomm Inc., ma appena fuori dal podio la quarta in classifica parla di nuovo mandarino: è Huawei Technolgies, secondo produttore al mondo di dispositivi per le telecomunicazioni. 

 

Molti osservatori del mercato, però, sottolineano che sul fronte dei brevetti non conta la quantità ma la qualità, e che spesso le società cinesi non sono incubatrici di innovazione  capaci di conquistare un ruolo da leader mondiale.

 

Le società cinesi stanno cercando di essere sempre più innovative e di trasformarsi da semplici licenziatarie a produttori di brand globali capaci di sfornare prodotti di alta qualità per aumentare i margini di guadagno. Il numero di brevetti registrati in Cina aumentano anche a causa delle numerose battaglie legali che le aziende del Dragone stanno combattendo in giro per il mondo soprattutto –ancora una volta- nel settore delle telecomunicazioni: recentemente sia Huawei che ZTE sono state coinvolte in dispute sulle tecnologie wireless di quarta generazione.

 

Nell'ultimo periodo le fabbriche cinesi che producono componentistica per Apple o Blackberry sono state scosse da scioperi e scandali, dalle catene di suicidi alla Foxconn fino allo spietato articolo pubblicato proprio giovedì dal New York Times, che racconta nel dettaglio i costi umani sulla manodopera cinese della produzione di un iPad.

 

E intanto l'Impero di Mezzo prepara la sua rivoluzione per l'innovazione, una "Lunga Marcia" tecnologica. Fino a quando finalmente su un prodotto globale si potrà leggere "Designed in China".

 

di Antonio Talia

 

©Riproduzione riservata