La Cina alza il muro anti-inflazione
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La Cina alza il muro anti-inflazione

La Cina alza il muro anti-inflazione

La corsa dell'Asia - LE MOSSE DI PECHINO
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SHANGHAI. Dal nostro corrispondente
L'inflazione morde il freno e la Cina reagisce tirando ancora una volta le briglie del credito.
Il giorno di Natale la People's Bank of China ha alzato il costo del denaro di 25 punti base: i tassi di interesse sui prestiti bancari sono saliti al 5,81%, mentre quelli sui depositi sono lievitati al 2,75 per cento. Si tratta del secondo ritocco all'insù varato dalla banca centrale nel giro di soli due mesi.
A parte la bizzarra scelta di tempo - sembra quasi che Pechino abbia deciso di utilizzare la festa più importante del mondo occidentale per i suoi grandi annunci (l'anno scorso nel giorno di Natale fu arrestato il Premio Nobel per la Pace, Liu Xiaobo) - la mossa della Pboc non ha sorpreso. Da settimane, infatti, di fronte alla montante onda inflazionistica, gli analisti prevedevano un rialzo del costo del denaro prima della fine dell'anno. I mercati hanno reagito in modo tiepido: a parte la Borsa di Shanghai, che ha perso quasi il 2%, le altre hanno contenuto le perdite (Milano -1,25%) e Wall Street ha chiuso praticamente invariata, mentre il petrolio è sceso di 50 centesimi a 91 dollari al barile, sempre vicino ai massimi da oltre due anni.
«Siamo fiduciosi di poter tenere sotto controllo l'aumento dei prezzi al consumo che ha messo in difficoltà soprattutto le fasce medio-basse della popolazione», ha detto ieri Wen Jiabao, spiegando alla radio nazionale la decisione della banca centrale. Il premier ha poi rassicurato il paese: «Il Governo è in grado di mettere un freno sia all'inflazione che alle aspettative di inflazione, che sono più temibili».
Le parole di Wen spiegano bene la strategia di Pechino. Da un lato, il Governo agisce sul piano tecnico sperando che il rialzo del costo del denaro raffreddi la domanda. Dall'altro, agisce sul piano psicologico per evitare che le attese di ulteriori rincari del costo della vita si traducano in fenomeni speculativi e corse all'accaparramento.
A novembre il tasso d'inflazione cinese è stato pari al 5,1%, il livello più elevato degli ultimi 28 mesi. Ad alimentare la spirale dei prezzi sono stati, ancora una volta, i generi alimentari, che sono rincarati dell'11,7% rispetto allo stesso periodo del 2009, mentre i corsi dei beni non food sono saliti solo dell'1,9 per cento. Tutte le derrate base dell'alimentazione cinese, come la soia, lo zucchero, le uova, i vegetali, la carne di maiale sono rimaste sotto forte pressione, nonostante gli interventi di contenimento dei prezzi.
Un Governo che dell'inflazione ha un autentico terrore. Per una ragione molto semplice: in Cina gli aumenti dei prezzi vanno a colpire soprattutto i beni di prima necessità, le zone geografiche più remote e disagiate, e i ceti sociali più deboli. Il rischio che i rincari del costo della vita si traducano in esplosioni di malcontento, proteste di piazza e instabilità è quindi molto elevato. L'ultima volta che il paese visse una situazione del genere, era l'inverno del 2008, furono dolori.
Ecco perché la nomenklatura, per cui l'armonia sociale è un obiettivo primario, è intervenuta tempestivamente e con la massima determinazione per spegnere sul nascere i focolai d'inflazione che hanno iniziato ad accendersi dopo l'estate. Nel giro di un paio di mesi, oltre ad aumentare due volte i tassi d'interesse, la People's Bank of China ha anche alzato tre volte la riserva obbligatoria per le banche. Frattanto, il Governo ha varato una serie di misure amministrative per calmierare i prezzi del cibo e dei carburanti e per sostenere tramite sussidi la spesa quotidiana delle famiglie povere.
Questi interventi stanno iniziando a produrre i loro primi risultati (nella seconda metà di novembre i prezzi alimentari hanno rallentato la corsa). Il rischio è che ora l'inflazione da cibo si estenda alla parte non alimentare del paniere. Le stime degli analisti prevedono che nei primi mesi del 2011 il tasso d'inflazione si attesti intorno al 5 per cento.
Con questa prospettiva, avvertono gli esperti, nei mesi a venire Pechino continuerà a stringere i rubinetti del credito. E, al tempo stesso, lascerà apprezzare gradualmente lo yuan con lo scopo di ridurre i prezzi dei beni e servizi di importazione. «Nel primo semestre 2011 la Pboc potrebbe alzare i tassi d'interesse altre 2 o 3 volte», avverte Qing Wang, economista di Morgan Stanley. «Per l'anno prossimo prevediamo altri due aumenti della riserva obbligatoria e tre rialzi del costo del denaro», gli fa eco Qian Wang di Jp Morgan Chase.
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28/12/2010
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