Il campo da gioco: l'Artide. Lo scenario: lo scioglimento dei ghiacci dovuto al riscaldamento globale, che rende navigabili nei mesi estivi alcune tratte precedentemente impossibili da percorrere. Gli attori: non solo i paesi che lambiscono il Polo Nord (Canada, Danimarca, Norvegia, Russia e Stati Uniti), ma anche tutte le nazioni che sono interessate a nuovi percorsi commerciali e alle risorse nascoste nel Continente di Ghiaccio. E, su tutte, la Cina, in procinto di varare una nuova politica per l'Artico determinata da precisi tornaconti economici: ecco i temi del nuovo saggio di Linda Jakobson, ricercatrice del SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute), – influente think- tank svedese che si occupa di conflitti e disarmo- intitolato China Prepares for an ice-free Arctic. Nel dossier, Jakobson sottolinea come la Cina sia una delle nazioni più coinvolte nella ricerca scientifica polare: se nell'Antartico, infatti, la sua presenza risale al 1984, il Polo Nord è salito agli onori delle cronache cinesi con una spedizione del 1995 formata da scienziati e giornalisti, costituita con l'obiettivo di condurre ricerche sul clima e sull'ambiente, cui sono seguite altre due missioni nel 2003 e nel 2008 e la creazione di una stazione di ricerca nel luglio 2004; Pechino, infine, prevede un'ulteriore spedizione nell'estate di quest'anno e punta ad affiancare a Xuelong ("Drago della Neve") suo primo vascello per la ricerca nell'Artico, il varo di un'altra nave rompighiaccio. Ma per il Dragone il Polo Nord, spiega Jakobson ad AgiChina24, è anche oggetto di nuovi, importanti interessi economici: nonostante la maggior parte degli studi si concentri sulle ripercussioni climatiche di un progressivo disgelo, esiste un pugno di specialisti che sta pubblicamente incoraggiando il governo di Pechino a prepararsi alle opportunità strategiche e commerciali che un Artico libero dai ghiacci per una certa parte dell'anno implicherebbe. Sono professori come Li Zhenfu, della Dalian Maritime University, che critica apertamente la rilassatezza delle politiche mantenute dalla Cina finora verso il Polo Nord e con i suoi collaboratori ha pubblicato uno studio col quale mette in luce i vantaggi e i pericoli derivanti agli interessi cinesi dall'apertura delle nuove rotte; ma sono anche militari, come il Colonnello Superiore (grado equivalente a Generale d'Armata) Han Xudong, che in un raro articolo consultabile liberamente sottolinea come "l'uso della forza nell'Artico non possa essere completamente escluso, a causa delle numerose dispute in corso". Dal punto di vista commerciale questi studiosi evidenziano come il disgelo dei mesi estivi renderebbe possibile il percorso Shanghai- Amburgo attraverso una tratta più breve di ben 6400 chilometri rispetto a quella tradizionale dello Stretto di Malacca e del Canale di Suez, peraltro caratterizzata dalla crescente influenza del fenomeno piratesco: per una nazione fortemente dipendente dalle esportazioni come la Cina, che trasporta il 70% dei suoi prodotti via mare, si tratterebbe di un risparmio notevole, senza contare che lo Stretto di Malacca rappresenta per il Dragone una specie di Forche Caudine, un collo di bottiglia attraverso il quale passa la maggior parte del fabbisogno di greggio della Cina, che rappresenterebbe un incubo nel caso di conflitto. L'US Geological Survey,inoltre, stima che l'Artico custodisca circa il 30% delle risorse di gas e il 13% delle risorse petrolifere mondiali ancora inesplorate, oltre a commodities come carbone, rame, tungsteno, zinco, argento, oro, nickel, manganese, cromo e titanio. "È certamente possibile, durante i mesi estivi, che la spedizione dei beni via mare attraverso un Artico aperto comporti dei costi minori per la Cina- spiega Jakobson- ma il cambiamento climatico ha di sicuro un impatto estremanente negativo su Pechino. Forse, e sottolineo 'forse', ci sarebbe un contrappeso sul fronte commerciale, anche se si dibatte sul 'quando', queste rotte diventeranno praticabili. Dal punto di vista delle risorse, invece, è fondamentale evidenziare che la maggior parte di quelle non sfruttate, al momento, si trova in zone che non sono al centro di dispute. Potrebbero sorgere tensioni sulle risorse inesplorate: chi può sapere cosa giace oltre i 200 chilometri delle zone sotto il controllo degli stati costieri?". Esistono quindi segnali di un cambiamento della politica cinese verso il Polo Nord? Secondo la ricercatrice finlandese, che vive a Pechino ed è autrice di sei volumi sulla Cina e su altri paesi asiatici, il Dragone -che non possiede una politica ufficiale in merito- sta iniziando a formularla, nel doppio tentativo di proteggere i propri interessi e non allarmare gli stati stranieri."La Cina, come anche l'Italia, l'Unione europea in toto e la Corea del Sud, ha chiesto di essere ammessa al ruolo di osservatore permanente in seno all'Arctic Council. La decisione non è stata ancora presa, e non si tratta di una grande differenza rispetto allo stato attuale, ma di sicuro Pechino vuole diventare più attiva nelle discussioni sull'Artico". La ricercatrice si dice comunque ottimista sugli svilupi di questo interesse: "Per quanto riguarda l'apertura dei corridoi commerciali, forse la Cina potrebbe preoccuparsi se la Russia volesse imporre dei dazi particolarmente alti sull'uso delle acque territoriali: la norma internazionale prevede infatti una navigazione gratuita, ma è comunque possibile fissare tasse sulle navi rompighiaccio o sulle assicurazioni d'emergenza. Sul fronte delle risorse naturali credo che i media abbiano esagerato la cosiddetta "Arctic Scrumble", la corsa alle risorse artiche, perché al momento quelle conosciute sono localizzate all'interno di confini molto ben definiti e nelle ricerche congiunte una nazione con la capacità d'investimento della Cina può essere solo benvenuta".
di Antonio Talia