L'ombra protezionismo sulla ripresa degli scambi
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L'ombra protezionismo sulla ripresa degli scambi

L'ombra protezionismo sulla ripresa degli scambi

Focus. Tra previsioni di crescita del 9,5% e nuovi equilibri a livello globale
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Alessandro Merli
Riparte il motore del commercio mondiale, che per decenni ha spinto l'economia globale e che si era ingrippato bruscamente l'anno scorso, ma la minaccia del protezionismo è destinata a riemergere nel 2010 con l'aumento della disoccupazione nei paesi industriali e il peggioramento delle tensioni fra Stati Uniti e Cina.
La Wto, l'organizzazione del commercio mondiale, ha presentato alla fine della scorsa settimana le previsioni di una crescita degli scambi internazionali del 9,5% nel 2010, dopo il crollo del 12% nel 2009, la più grave caduta degli ultimi settant'anni. Un'analisi più puntuale, svolta mensilmente dall'ente olandese Cpb, mostra che negli ultimi tre mesi la crescita è stata del 5,2%, più o meno sui livelli di dicembre. Nel solo mese di gennaio c'è stata una flessione dello 0,7%, anche se lo stesso Cpb ammonisce dal dare troppo peso ai dati dei singoli mesi, in quanto estremamente volatili. Tuttavia, questo mostra, secondo Sukhy Ubhi, di Capital Economics, che se «è improbabile che la ripresa nel commercio mondiale si fermi del tutto, i miglioramenti da ora in poi saranno probabilmente graduali». L'opinione di molti analisti, compreso il capo economista della Wto, Patrick Low, è che ci vorrà un paio d'anni per tornare ai livelli record dell'aprile del 2008. La ripresa economica modesta nei maggiori paesi industriali farà da freno e il relativo vigore degli emergenti, soprattutto in Asia, non è per ora sufficiente a compensare le debolezze di altre aree.
Al di là delle cifre, tuttavia, l'attenzione si sta spostando rapidamente sullo scenario della diplomazia commerciale. «Dobbiamo evitare – ha detto il direttore generale della Wto, Pascal Lamy, presentando le previsioni per il 2010 – di far deragliare la ripresa dell'economia con il protezionismo». Aprile sarà un mese decisivo per stabilire il tono delle relazioni Usa-Cina. Il Congresso americano sta esercitando forti pressioni sull'amministrazione Obama perché il mese prossimo il Tesoro, nel suo rapporto periodico, dichiari che la Cina manipola il cambio con l'intento di ottenere dei vantaggi commerciali. Il che spianerebbe la strada a ritorsioni da parte di Washington. Anche se la maggior parte degli osservatori a Washington ritiene che una pronuncia del Tesoro in questo senso sia un'eventualità remota, le tensioni fra i due colossi del commercio globale (la Cina è ora, anche in base ai dati ufficiali, il più importante esportatore mondiale) sono destinate a rimanere vive, anche perché l'aspettativa è che negli Usa, così come in Europa, il modesto recupero dell'attività economica non basti, ancora per buona parte del 2010, a riassorbire la disoccupazione.
L'asse Washington-Pechino non è l'unico punto caldo. Il Brasile ha già messo a punto una serie di misure di ritorsione contro prodotti Usa, autorizzate dalla Wto dopo che gli Stati Uniti sono stati dichiarati in violazione delle regole internazionali nella protezione del settore cotoniero. Non si tratta di un episodio di poco conto: non solo perché il Brasile è un'altra delle grandi potenze emergenti sulla scena commerciale e perché esercita una notevole influenza attraverso la sua diplomazia nei negoziati internazionali, ma perché il caso del cotone, con i danni provocati dal protezionismo Usa ad alcuni paesi africani, è già stato una delle cause della paralisi della trattativa del Doha Round per liberalizzare i commerci.
Finora, però, le misure protezionistiche in seguito alla crisi globale sono state tutto sommato contenute. Il secondo rapporto redatto, su mandato del G-20, da Wto, Ocse e Unctad, mostra anzi un leggero allentamento rispetto al trimestre precedente: gli interventi restrittivi dei commerci nel periodo settembre 2009-febbraio 2010 hanno riguardato solo lo 0,7% delle importazioni nei paesi del G-20 e lo 0,4 di quelle mondiali. Sono però concentrate in settori ad alta intensità di manodopera e quindi più vulnerabili a pressioni derivanti dalla perdita di posti di lavoro, come il tessile, i minerali e la metallurgia.
Quanto al Doha Round, lanciato ormai otto anni e mezzo fa, Lamy, dopo la settimana appena conclusa di incontri tecnici a Ginevra, ha richiamato i leader alle loro responsabilità politiche. La scadenza di fine 2010, proclamata dai summit del G-20, appare oggi di improbabile raggiungimento. «Un fallimento di Doha – ha ammonito il direttore generale della Wto – si rifletterebbe su altri sforzi di cooperazione internazionale, non solo sul commercio». Intanto, però, il blocco della trattativa multilaterale sta spingendo sempre di più i principali protagonisti, Europa compresa, verso il raggiungimento di accordi su base bilaterale.
alessandro.merli@ilsole24ore.com
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