Cangnan, 26 ott. - Ore 20.20.In attesa che l'incaricato mi porti il menù per la cena con servizio in camera, apro la finestra e osservo la città di Cangnan dal nono piano dell' International Grand Hotel. Mi chiedo se arriverà Arnold.
Ridi e scherza si sono fatte le 8 e 20 di sera. Dieci minuti fa ho provato ad entrare al Vienna Restaurant, al secondo piano, ma il caposala mi ha guardato come fossi un pazzo sonnambulo: la cucina è ovviamente chiusa. Non è colpa mia se all'ora di cena mi si sono presentati in camera cinque sconosciuti che, chiamandomi Gian-Cula, si accomodavano su sedie e poltrone e improvvisavano un meeting di lavoro, mentre io mi infilavo i calzoni. Aspiranti fornitori a cui avevo comunicato il nome del mio albergo. Non mi meravigliano più questi raids, ma capivo che la cena sarebbe stata a rischio e già avevo saltato la colazione ed il pranzo. Stamattina infatti non avevo approfittato dell'ultimo baluardo di commestibilità, lo Starbucks dell'aeroporto domestico di Shanghai, perché pensavo che sarebbe stato più facile affrontare il pranzo con il fornitore cinese a stomaco vuoto. Raramente sono pranzi da stella Michelin, da queste parti.
E invece niente, tutti i programmi sono saltati: arrivato all'aeroporto di Wenzhou, alle 9.20 di stamattina, il fornitore non si era presentato. È spiacevole iniziare la giornata così, soprattutto quando la tracotanza ti ha indotto a fissare 4 appuntamenti in 2 giorni e non hai spazio per i contrattempi.
Chiamo Michael per anticipare l'appuntamento della sera alla mattina: niente, non può incontrarmi né ora né stasera, "non ha tempo libero". Sotto di due reti a zero, non mi arrendo e telefono a raffica: qualcuno pur mi riceverà! La fortuna dei distretti industriali è che tutti i fornitori sono vicini. Kenny per esempio, dopo 10 minuti di chiacchiera al telefono, dice che mi risponderà subito, ma via email, perché prima deve accordarsi con Thomas. Ma Thomas chi? Mi viene il dubbio: «Kenny, hai capito chi sono?»
«No»
«ma sei Kenny?»
«No, sono Robert»
«ma… hai capito chi sono io? »
«no! ti scrivo un'email»
«e poi scusa, Robert chi?»
«Robert! Ti scrivo un'email»
Provo con altri, a tutti lascio le coordinate spazio temporali: sanno dove trovarmi se mi vorranno incontrare. Riesco infine a strappare un incontro a Leo: a Longgang!
Mi reco in centro a Wenzhou e salgo su un autobus diretto a sud. Sono abituato a questi no-alpitour, ma dimentico sempre di evitarli attorno all'ora del pranzo. I finestrini sono loscamente appannati per le esalazioni odorose : ogni ingrediente animale, vegetale e minerale commestibile viene spacchettato e consumato dai pendolari quietamente affamati. Odori di spezie esotiche, fumi marini ed esalazioni chimiche di ogni tono e intensità riempiono quasi fisicamente ogni spazio in un horror vacui olfattivo.
Arrivato alla stazione dopo 90 minuti, riconosco Leo, che già avevo incontrato ad una fiera. Mi accompagna direttamente a visitare l'ennesima fabbrica di questa industriosa provincia. L'ennesima cartiera, tutto è già visto, ogni cosa al suo posto (fuori posto). Dopo la visita agli opifici, un breve incontro nell'ufficio del direttore generale con il the bollente nel bicchierino di PVC spessore 1 micron, sigarette che fanno il morto nei posacenere e mandarini che sovvertono la catena alimentare: sono loro che succhiano te, ti aspirano la bocca peggio della cannetta del dentista. Non si parla di nulla, ma senza imbarazzo. Aspettiamo che il boss si alzi, salutiamo e via, si può andare in albergo.
Il resto è storia recente: l'inutile visita del gruppo di fornitori non identificati e il conseguente digiuno.
Ora suonano alla porta: il menù del servizio in camera è arrivato.
Apro, la vice-manager dell'albergo vuole aiutarmi nella ricerca del menù per la cena in camera, che non ho potuto trovare da solo. Poco prima mi voleva convincere che il ristorante fosse aperto anche di fronte all'evidenza delle sedie rovesciate sui tavoli, forse per questo ha fatto della mia cena una questione di principio.
Dopo una capillare ricerca, mi allunga lo stretto menù del frigobar! Noccioline, strisce di manzo secco, cioccolata di produzione locale, spaghetti istantanei. Preferivo la bistecchina con due patatine, ma con la fame che ho mi sembrano comunque tutte opzioni sfiziose. Decido di farmi una bella spaghettata. Agito gli istant noodles per vedere cosa succede. Non ho mai provato, ma deve essere come il ghiaccio secco al contrario: sbattendoli, questi vermicelli liofilizzati diventano caldi, presumo. E invece non succede nulla, non importa con quale violenza scuoto la latta. La manager mi guarda, forse sta pensando che dopo tanti anni a contatto con gli stranieri ancora non le ha viste tutte. Scalda un po' d'acqua nella teiera e la versa nella lattina di spaghetti in potenza, che miracolosamente prendono volume e vischiosità. L'operazione ha del miracoloso, come la polverina di girini che ordinavi via posta negli anni 80, la pubblicità in terza di copertina di giornaletti per giovini. La polverina era un brodo primordiale di girini che, nel giro di qualche settimana, si sarebbero sviluppati diventando poi scimmiette intelligenti. In realtà tu mettevi la polverina in acqua e questa si depositava sul fondo del bicchiere, inerte. Fino a che la mamma te la buttava. Non che gli occhiali a raggi X funzionassero molto meglio. E invece gli istant noodles funzionano davvero: aggiungi l'acqua calda e nascono gli spaghetti! Quelli avrebbero dovuto pubblicizzare, altro che le scimmiette parlanti!
Congedo la geniale vice-manager e consumo la mia cena con soddisfazione, chiedendomi se negli anni 80 ci fosse già la tecnologia per sviluppare questa rivoluzione gastronomica. E dove sono finiti i miei occhiali a raggi X? Qualcuno bussa alla porta: è arrivato Justin! È con una ragazza: Justin si è fatto la ragazza, penso.
Entrano in stanza con un'aria seria, Justin mi deve dire una cosa. La ragazza ha un'aria strana, imbarazzata. Sto già pensando le cose peggiori, quando mi sento dire: «Luca! Ci siamo fidanzati, l'anno prossimo ci sposiamo!»
Apro la bottiglia migliore del frigobar: la boccetta da 5 ml di Black Label invecchiato 12 anni. Sono commosso. A quanto pare l'hanno comunicato ad uno zio e adesso a me. Domani lo diranno ai genitori di lui. Stappiamo la seconda boccetta di whiskey, ormai alticci. Arnold non regge l'alcool. Improvviso un brindisi, annunciando la felicità del mio fornitore: lo ricordo spensierato e adolescente, solo un anno fa, con una chioma in testa grande quanto una vasca da bagno, ed eccolo qui, maturo e realizzato. La fidanzata si schernisce, ride, dice che Arnold non è poi così felice: «normale!» mi conferma questi, raccontandomi come è nato il tutto. Ieri era al telefono con uno zio. Lo zio gli dice «nipote! Secondo me dovresti sposarti, hai quasi 27 anni!». E lui gli risponde «ok…» (con aria un po' rassegnata e dubbiosa, per lo meno nella sua ricostruzione animata) e la sera stessa chiede la mano a Wang Ping. Lei sorride, è andata proprio così.
Una sensibilità romantica forse dissimile dalla nostra, ma tant'è, questo è l'amore ai tempi del boom. E di questo ho quasi imparato a commuovermi.
di Gianluca Morgese.
Gianluca Morgese. Imprenditore a basso budget di Provincia Italiana che si trova a vivere nella Provincia Cinese all'inseguimento di lavori di nicchia. Settori che nessun business man solido si prenderebbe la briga di coprire, in luoghi spesso lontani dai bagliori di Shanghai e le suggestioni di Pechino. Durante una cena con altri 95 commensali ha un'esperienza gastro-mistica: un occhio, forse suino, lo sta fissando dal suo cucchiaio da zuppa. Da qui la decisione di raccontarvi, senza pretese di verità ma con imparzialità fotografica, ciò che vede della sua amata Cina, durante i suoi viaggi e la sua vita di provincia.
La rubrica "Lettere dalla Cina" ospita gli interventi di giovani italiani che vivono e lavorano in Cina, offrendo spunti di vita quotidiana e riflessioni originali. Andrea Bernardi, Corrado Gotti Tedeschi, Elisa Ferrero e Gianluca Morgese.
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