Il credito facile spinge la Cina
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Il credito facile spinge la Cina

Il credito facile spinge la Cina

La ripresa che viene dall'Asia - PECHINO RIPARTE
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Paolo Madron
SHANGHAI. Dal nostro inviato
Le nuvole sono passate, e meno grande economicamente parlando è la confusione sotto il cielo. Con un Pil che nel terzo trimestre è cresciuto dell'8,9% la Cina può dunque tirare un sospiro di sollievo e proclamare la recessione solo un ricordo. Recessione? Naturalmente bisogna intendersi sui termini, visto che qui tecnicamente non ve n'è mai stata traccia. Ma i cinesi sono incontentabili, e quello che per noi occidentali sarebbe un risultato da farci ancora puntare sulle magnifiche sorti del capitalismo, ovvero il più 6,1% dei primi tre mesi dell'anno, qui era considerato un risultato di quelli che non fanno dormire la notte. E che rischiava di far fare al paese brutta figura: che cosa avrebbe detto il mondo se l'obiettivo decennale pianificato dal governo, il 9% di crescita annua da qui al 2020, fosse stato inopinatamente disatteso? Invece, con la performance estiva, la migliore da un anno a questa parte, il mondo non può che applaudire ammirato sapendo che a fine anno il target sarà centrato, e magari anche superato quel tanto che basta per dire di averlo raggiunto in tutta comodità. Spazio dunque agli elogi e agli auto elogi.
Il più significativo se l'è concesso il premier Wen Jiabao, che l'altro ieri ha chiuso la riunione del comitato esecutivo del Consiglio di Stato dicendo che «la Cina ha invertito l'andamento negativo dell'economia grazie alla tempestività e alla piena attuazione del pacchetto di stimoli varati a suo sostegno». Del resto il governo va molto fiero, maoisticamente parlando, del suo ruolo di timoniere. E per unanime riconoscimento internazionale la gestione del pacchetto di incentivi è stata tra le più efficaci tra quelle messe in atto dai paesi industrializzati. Ciò ha consentito, anche se per la verità gli economisti americani hanno mostrato qualche scetticismo sulla bontà dei numeri, di tornare a percentuali di crescita bulgare. Il merito? Un poderoso aumento dei consumi, saliti di oltre il 15% nel periodo gennaio-settembre. Una robusta crescita degli investimenti pubblici, la maggior parte dei quali al servizio del piano di urbanizzazione delle aree rurali e di crescita infrastrutturale. Qui riesce insomma quello che per l'America è ancora una chimera: far lievitare la spesa interna, che da sola basta e avanza a fronteggiare il calo dell'export.
Ciò fa nuovamente della Cina l'Eldorado del mondo, tanto che, come ci diceva ieri Lydia Price, la direttrice dei programmi Mba del Ceibs, la più importante Business school asiatica, nonché l'ottava al mondo nelle classifiche del Financial Times, sempre più studenti stranieri che vengono al campus di Shanghai decidono di non tornare ma di avviare qui una propria attività. I soldi e soprattutto gli incentivi fiscali (si moltiplicano nel paese le zone tax free) non mancano.
Sull'abbondanza di denaro, per la verità, mentre Wen Jiabao dichiarava tutta la sua soddisfazione per lo scampato pericolo, il responsabile della vigilanza bancaria Liu Mingkang lanciava un monito alle banche perché si guardassero bene dal lanciarsi in prestiti definiti, letteralmente, «scavezzacollo». «Bisogna arrivare in fretta - è stato il suo invito - a un perfetto equilibrio tra la gestione del rischio e i massicci flussi di capitale internazionale che si sono riversati sul mercato». In realtà agli analisti risulta che anche i capitali interni abbiano fatto la loro parte nell'accrescere la massa monetaria in circolazione, inondando di denaro aziende e holding finanziarie. Di qui l'inevitabile anche se vellutato monito di Zhou Xiaochuan, governatore della banca centrale. «Non abbiamo alcuna intenzione di alzare i tassi adesso che l'economia sta riprendendo vigore. Il che non significa che possano restare in eterno così bassi».
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L'Economist in edicola oggi dedica la copertina a quella che definisce «la strana coppia»: Stati Uniti e Cina. Due paesi che «vivono nello stesso letto», spiega il settimanale e che hanno tutto l'interesse a lavorare insieme, a patto che il governo americano difenda con maggior convinzione le proprie idee

Ritorno alla normalità
La crescita cinese torna ai livelli consueti, o quasi. Nel periodo luglio-settembre il Pil è salito su base annua dell'8,9%, un punto secco in più del trimestre precedente. Per trovare un tasso di espansione analogo bisogna tornare indietro di un anno, con il 9% del terzo trimestre 2008
Consumi e investimenti
Il carburante della crescita è una miscela di consumi (in aumento del 15,5% in settembre) e di investimenti pubblici, lanciati con il pacchetto di stimolo da 585 miliardi di dollari varato dal governo per rilanciare l'economia
Il boom del credito
Un altro ingrediente fondamentale della ripresa cinese è il credito. In settembre l'offerta di moneta è aumentata a un ritmo annuo del 16 per cento
Nei mesi scorsi sono state le stesse autorità di Pechino a chiedere alle banche di sostenere imprese e famiglie a suon di prestiti
Ora però il governo manda messaggi di segno opposto, tanto che il responsabile della vigilanza bancaria, Lu Mingkang, ha messo in guardia gli istituti di credito dal lanciarsi in prestiti «scavezzacollo». Il timore è che l'eccesso di credito surriscaldi l'economia

23/10/2009
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