Hong Kong, 25 giu. - Nessun reale passo avanti nelle riforme democratiche a Hong Kong. E' naufragata la proposta di arrivare al suffragio universale per l'elezione di parte dell'assemblea legislativa prima delle elezioni del 2012 e si è fatta più netta la spaccatura tra i democratici moderati allineati su un fronte più filo-cinese e i radicali, che hanno definito oggi il "giorno più buio per lo sviluppo democratico di Hong Kong". La città ha una sorta di costituzione (la "Hong Kong Basic Law") che garantisce ai cittadini dell'ex colonia britannica numerose libertà civili sconosciute in Cina; il sistema elettorale, però, prevede che solo la metà dei 60 delegati che siedono nel consiglio legislativo venga eletta direttamente dal popolo, mentre l'altro 50% è nominato da commissioni corporative rappresentative di tutti i settori dell'economia. Le elezioni del maggio scorso erano frutto dei calcoli politici del fronte democratico: con le loro dimissioni a gennaio cinque candidati di vari partiti democratici (Civic Party e League of Social Democrats) puntavano a caricare le consultazioni per i cinque seggi lasciati vacanti di un significato più ampio, trasformandole in una sorta di referendum de facto per spingere verso una riforma del sistema elettorale. Quello che, nelle intenzioni dei democratici, avrebbe dovuto rappresentare "il più forte messaggio politico rivolto da Hong Kong a Pechino dal 1997" non aveva centrato il bersaglio: i cinque consiglieri dimissionari erano stati tutti rieletti e avevano sconfitto i semi-sconosciuti sfidanti dei partiti pro-Cina; ma l'affluenza alle urne era stata del 17%, ben al di sotto dell'obiettivo del 25% che gli attivisti si erano prefissati. Con l'approvazione del pacchetto di riforme e' stato aumentato da 60 a 70 il numero dei consiglieri, pur mantenendo il suffragio universale solo per il 50% dei posti; una riforma che per il fronte democratico dimostra quanto l'amministrazione Tsang sia succube delle disposizioni cinesi.
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