Pechino, 12 lug. - Ancora una zampata dell'export cinese: secondo i dati diffusi sabato dalla Dogana, nel mese di giugno le esportazioni sono cresciute del 43,9% rispetto allo stesso periodo del 2009, mentre le importazioni sono aumentate del 34,1%, sempre su base annuale. Il surplus commerciale cinese di giugno raggiunge così quota 20,02 miliardi di dollari, un leggero aumento rispetto al mese precedente (19,53 miliardi di dollari), ma pur sempre un ottimo risultato se confrontato con le previsioni di Bloomberg, che ipotizzavano invece un surplus di 15,6 miliardi. Si tratta dei primi dati economici diffusi da quando, il 19 giugno scorso, Pechino ha rotto l'ancoraggio di fatto con il dollaro che durava da quasi due anni: da allora, con una banda di oscillazione più ampia, la valuta cinese ha guadagnato sul biglietto verde uno striminzito 0,8%, che non ha comunque ridotto il surplus commerciale del Dragone. Sul fronte più caldo politicamente, quello statunitense, il surplus ha toccato quota 17,6 miliardi e le esportazioni verso gli USA sono aumentate del 28,3%; quelle verso l'Unione europea hanno registrato un incremento del 36% e verso la Russia un +84%, mentre i prodotti cinesi diretti verso il Brasile sono più che raddoppiati per il terzo mese consecutivo. Le esportazioni hanno complessivamente raggiunto la cifra record di 137,4 miliardi di dollari, superiore ai 136,68 del giugno 2008, prima che la crisi finanziaria globale si aggravasse definitivamente con il collasso di Lehman Brothers del settembre di quell'anno. Le importazioni, invece, hanno toccato quota 117,4 miliardi di dollari, il terzo risultato più alto del 2010, ma si registra comunque un calo nell'import di materie prime ritenute fondamentali per lo sviluppo cinese come il rame e il minerale di ferro. E con il nuovo ruggito delle esportazioni cinesi si inaspriscono le polemiche da parte americana: l'AFL-CIO, il più importante sindacato statunitense, ha aumentato le pressioni sul Congresso per il varo di una norma per combattere quella che viene percepita come una sottovalutazione dello yuan. "Il rapporto del Tesoro nega l'evidenza, cioè il fatto che la Cina sia intervenuta sistematicamente sui mercati per mantenere la sua valuta sottostimata per una cifra che si avvicina al 40%" aveva dichiarato la scorsa settimana il presidente di AFL-CIO Richard Trumka. Il Tesoro USA aveva diffuso nei giorni scorsi un rapporto – previsto per lo scorso aprile ma sospeso dal Segretario Timothy Geithner – rifiutandosi di accusare ufficialmente Pechino di manipolazione di valuta, una mossa potenzialmente capace di innescare una spirale di ritorsioni commerciali tra i due colossi.
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