Emissioni aeree, no cinese alle regole Ue
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Emissioni aeree, no cinese alle regole Ue

Emissioni aeree, no cinese alle regole Ue

Gas serra. Pechino non vuole applicare la direttiva che impone l'acquisto di diritti
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SHANGHAI. Dal nostro corrispondente
Tra Cina ed Europa scoppia una battaglia dei cieli. Ad aprire le ostilità è stata ieri Pechino, annunciando che le compagnie aeree battenti bandiera rossa non si adegueranno alla direttiva Ue sulle emissioni di gas serra che colpisce l'industria aeronautica del mondo intero. «Si tratta di un provvedimento legislativo unilaterale, cui ci siamo già opposti più volte prima ancora che entrasse in vigore» ha tuonato ieri un portavoce del Governo cinese, invitando esplicitamente Bruxelles a ridiscutere la nuova normativa ambientale con la Cina e con gli altri Paesi extra-europei colpiti dalla direttiva.
Una direttiva che, in forza della sentenza di legittimità emessa qualche settimana fa dalla Corte di Giustizia europea, dal primo gennaio 2012 impone a tutte le compagnie aeree che transitano negli aeroporti del Vecchio Continente l'acquisto di speciali diritti a fronte dell'emissione di anidride carbonica dei loro vettori. In sostanza, Bruxelles ha deciso di applicare al settore aeronautico globale lo stesso schema in vigore dal 2005 per le utilities e per le industrie pesanti: chi inquina di più, paga di più; chi, invece, adotta standard energetici più efficienti si ritrova con un eccesso di diritti di emissione negoziabili sul mercato Ets. Le compagnie aeree che non si adegueranno alla nuova normativa anti-CO2 pagheranno delle multe salate: 100 euro per ogni tonnellata di anidride carbonica emessa non coperta dall'apposito diritto di emissione; e in caso di reiterata violazione, potranno essere espulse dagli aeroporti europei.
Insomma, la partita è grossa. Secondo i calcoli della China Air Transport Association (Cata, l'ente che tutela le principali aerolinee del Paese), l'osservanza della direttiva comporterebbe per le compagnie cinesi un costo operativo aggiuntivo annuo di circa 800 milioni di yuan (99 milioni di euro), destinato a triplicarsi entro il 2020. «Ecco perché non aderiremo allo schema Ets» ha avvertito ieri la Cata. Nella battaglia aerea ingaggiata con l'Unione europea la Cina può contare su altri potenti alleati: anche Stati Uniti, India e Canada, infatti, hanno già protestato vibratamente con Bruxelles minacciando di non rispettare la normativa. Immediata la replica europea: «Se operi nella Ue devi rispettare le regole Ue» ha affermato ieri Isaac Valero-Ladron, portavoce del commissario Ue al Clima, Connie Hedegaard. «Siamo fiduciosi - ha aggiunto però il portavoce - che le aziende rispetteranno la legislazione. Le sanzioni infatti comporterebbero una spesa ben più elevata».
La normativa ha una sua logica. Il traffico aereo mondiale, infatti, contribuisce alla produzione del 3% dei gas-serra emessi sul pianeta (quello europeo allo 0,5%). Secondo la direttiva Ue, le compagnie dovranno acquistare i diritti per emettere una tonnellata di CO2 (che attualmente sul mercato Ets valgono intorno agli 8 euro). Secondo i calcoli di Thomson Reuters, fra il 2012 e il 2020, le compagnie che volano in Europa dovranno sborsare complessivamente 9 miliardi di euro. Questo onere aggiuntivo sarà scaricato sul prezzo dei biglietti aerei, che subiranno un rincaro stimato fra 2 e 12 euro.
Intanto, mentre i contendenti affilano le armi in vista della nuova querelle economica-ambientale, da Pechino arriva una notizia che potrebbe placare un po' le tensioni tra la Cina e i suoi grandi partner commerciali: nel 2011 il surplus commerciale del Dragone cinese è sceso di oltre 20 miliardi di dollari, attestandosi intorno a 160 miliardi di dollari.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

06/01/2012
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