Le banche cinesi corrono il rischio di un aumento indiscriminato dei prestiti "non performanti"? Da qualche mese a questa parte sono sempre più numerose le voci di analisti e osservatori che si levano contro il credito facile. Secondo una proiezione fornita la settimana scorsa dalla China Banking Regulatory Commission – l'authority di Pechino che vigila sul sistema bancario- il tasso dei prestiti che rischiano di non venire restituiti è sceso all'1.8% alla fine di giugno, nonostante l'imponente aumento del credito innescato dal piano di stimoli all'economia del governo cinese. Nel suo rapporto quadrimestrale sulle politiche monetarie pubblicato qualche giorno fa, la Banca Centrale ribadisce l'intenzione di proseguire sulla strada dell'accesso facile alle linee di credito: "Continueremo a praticare una politica monetaria espansiva – si legge nel dossier- e a modularla con i cambiamenti dei prezzi e dei trend economici in patria e all'estero. In questo momento l'economia cinese si trova in un periodo cruciale di stabilizzazione e ripresa, e mantenere una crescita costante e rapida è ancora il compito più importante. Il cammino verso una stabilizzazione dell'economia globale è stato intrapreso, ma il processo di ripresa potrebbe essere lento e tortuoso". Non più tardi di domenica scorsa lo stesso premier Wen Jiabao ha ribadito l'intenzione del governo di mantenere una combinazione di politiche fiscali attive e politica economica rilassata per tutto il tempo in cui la crescita economica si troverà in una situazione di incertezza; Pechino, insomma, per il momento non abbandona le misure che hanno condotto a un aumento del 33% dei prestiti dall'inizio dell'anno. La mole della liquidità erogata è effettivamente impressionante: nei primi sei mesi del 2009 i finanziamenti concessi dalle banche cinesi hanno raggiunto la cifra record di 7.37mila miliardi di yuan, quasi due volte e mezzo i prestiti registrati nello stesso periodo dell'anno scorso. A suonare la carica sono i quattro principali istituti cinesi – Industrial and Commercial Bank of China, China Construction Bank, Agricultural Bank of China e Bank of China-, tutti di proprietà dello stato, che da soli nel primo semestre 2009 hanno concesso linee di credito per 3.47mila miliardi di yuan. Ma le voci ufficiali che hanno espresso preoccupazioni negli ultimi mesi sono numerose: a maggio il China National's Audit Office, la versione cinese della Corte dei Conti, aveva lanciato la proposta di un'ispezione generale ai maggiori istituti di credito del paese per verificare se stessero effettivamente "partecipando all'aumento della domanda interna e alla promozione della crescita economica", o se invece una parte consistente dei prestiti che avrebbero dovuto finanziare domanda interna e nuove iniziative imprenditoriali- il 20%, secondo alcune stime- non fosse andata a finire in iniziative speculative come il mercato azionario o in altri depositi bancari, eventualità che vanificherebbe l'impatto del credito facile sull'economia reale. Il 13 giugno scorso il vice governatore della Banca Centrale Li Dongsheng aveva confermato la necessità di una politica monetaria espansiva, invitando però tutte le banche a "vigilare maggiormente sulla concessione dei prestiti e sulla stabilità del settore finanziario". La settimana scorsa- mentre secondo il Wall Street Journal l'authority valutava regolamenti per ridurre l'esposizione banca su banca- nella ricca provincia meridionale del Guangdong si iniziava a celebrare il processo per la più imponente frode bancaria mai scoperta in Cina, un buco di quasi 9 miliardi di yuan in prestiti concessi illegalmente dalle filiali locali della Bank of Communications. Tutti segnali che indicano due necessità contrastanti: da un lato l'importanza di un accesso facile al credito per sostenere la crescita economica; dall'altro quella di maggiori controlli, per non incorrere nei rischi di un vertiginoso aumento di prestiti impossibili da onorare. La ricerca di un giusto mezzo potrebbe essere la sfida cruciale per il sistema bancario cinese nel prossimo autunno.