Roma, 30 mar.- Prosegue il giro di vite messo in atto dalla Cina contro gli attivisti pro-democrazia. Senza ostacoli di natura etica o giuridica, dopo la condanna a 10 anni di carcere comminata la scorsa settimana a Liu Xianbin, un altro dissidente, Chen Wei, è caduto nella tela della "sovversione ai danni dello stato" - questo il reato che pende sulla testa degli attivisti-. Chen, accanito critico del sistema politico a partito unico, è stato arrestato per "aver minacciato l'ordine dello stato", fa sapere sua moglie Wang Xiaoyan. "Ho ricevuto la telefonata martedì pomeriggio, ma non sono riuscita ad avere altri dettagli" ha dichiarato la donna cui non è permesso fare visita al marito.
Nel frattempo, Yang Hengjun, scrittore sino-australiano che da domenica sembrava sparito nel nulla, è riuscito a mettersi in contatto con un amico. "Mi ha telefonato per dirmi che è stato ricoverato in ospedale perché malato. Mentre eravamo a telefono ha tossito un paio di volte, ma non sono sicuro che si trovi davvero in ospedale" ha dichiarato alla stampa Wu Jiaxiang, ex funzionario di governo e amico dello scrittore. L'uomo si è detto preoccupato del fatto che Yang possa essere caduto anch'egli nella morsa della repressione messa in atto dal governo. "Tuttavia il fatto che sia stato autorizzato ad avere contatti con il mondo esterno è già un buon segno: significa che la situazione non è così grave". L'uomo, che in passato ha lavorato per il ministero degli Esteri cinese, è noto per essere stato il primo scrittore di romanzi di spionaggio politico in Cina. Lavori che Yang ha deciso di pubblicare su internet.
Ma Yang, Chen e Liu non sono gli unici a essere finiti in manette di recente: insieme a loro anche i dissidenti Ran Yunfei e Ding Mao che per aver risposto agli appelli web che incitavano al raduno dei Gelsomini (questo dossier), sono stati accusati di "voler rovesciare l'ordine pubblico". La stessa accusa che nell'ultimo mese ha visto scomparire, finire in cella o ai domiciliari oltre 50 attivisti. Per accuse del genere, la legge cinese prevede una detenzione della durata di 5 anni, estendibile se in presenza di reati molto gravi. E' questo il caso di Liu Xianbin (questo articolo), che trascorrerà dietro le sbarre i prossimi dieci anni, e del premio Nobel per la pace 2010 Liu Xiaobo (questo articolo), che sta scontando la pena di 11 anni. Ad accumunare i due, oltre al fatto di avere lo stesso cognome, è la firma del manifesto Charta 08 – il documento nel quale si chiedeva una riforma in senso democratico dello stato cinese e l'abolizione del regime a partito unico-. Ed è proprio questo, forse, lo 'scheletro nell'armadio' che ha procurato ai due Liu il massimo della pena. Segno che le critiche della comunità internazionale sorte in seguito alla vicenda Liu Xiaobo e le recenti timide imitazioni cinesi delle Rivolte dei Gelsomini – prontamente fatte rientrare dalla polizia cinese –, non solo non hanno ottenuto i risultati sperati, ma hanno innalzato il livello di guardia del governo.
Una tesi che sembra condivisa anche da Wang Songlian, coordinatore di Chinese Human Right Defenders che dopo la condanna a Liu Xianbin aveva dichiarato: "La severità della pena inflitta a Liu è il segno della stretta messa in atto dal governo in seguito agli inviti apparsi sul web ai raduni dei Gelsomini". Da Pechino il messaggio arriva più forte che mai: nonostante i segnali di aperture democratiche lanciati in più occasioni dal premier Wen Jiabao in Cina, non c'è ancora spazio per espressioni di pensiero che possano minacciare l'unità del Partito o mettere in discussione l'operato del governo. Almeno per ora.
di Sonia Montrella
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