DAZI SUI POLLI AMERICANI, USA CONTRO CINA AL WTO
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DAZI SUI POLLI AMERICANI, USA CONTRO CINA AL WTO

DAZI SUI POLLI AMERICANI, USA CONTRO CINA AL WTO

DAZI SUI POLLI AMERICANI, USA CONTRO CINA AL WTO
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Pechino, 21 set.- Una nuova controversia schiera Usa e Cina l'uno contro l'altro al 'tribunale' del WTO. E dopo gli pneumatici, i tubi di rame e le materie prime, oggetto della discordia è ora il pollo a stelle e strisce. Secondo destinatario di pollame statunitense dopo la Russia, Pechino annunciò nel settembre dell'anno scorso dazi dal 43 al 105% sulle importazioni. Dazi che, secondo il Poultry and Egg Export Council, causano al mercato americano perdite per 1 miliardo di dollari.

 

Motivo: i produttori americani avrebbero beneficiato dei sussidi ed esportato pollame sottocosto danneggiando così i produttori locali. Mentre l'accusa di protezionismo continua a rimbalzare da un estremo all'altro del globo, Washington non ci sta e definisce "illegali" le tariffe portando di nuovo la Cina sul banco degli imputati. Sebbene le regole dell'Organizzazione mondiale del Commercio prevedano che un Paese possa imporre tariffe punitive per entrambe le pratiche, gli Usa sostengono che la Cina si sia mossa in maniera contraria alle leggi del WTO.

 

"La Cina deve giocare secondo le regole" ha commentato Ron Kirk, rappresentante per il Commercio degli Stati Uniti. I dazi imposti contro la Tyson Foods, Pilgrim's Pride, Keystone Foods e altre società minori, hanno causato un tracollo del 90% delle esportazioni dirette verso il Gigante asiatico. "Una perdita tale da compromettere il posto di lavoro di oltre 300mila allevatori" ha dichiarato Ron Kirk. Secondo alcune fonti statunitensi, sia nel 2008 che nel 2009 i produttori americani esportarono pollame per circa 650 milioni di dollari l'anno; nel 2010 le spedizioni sono crollate a 136 milioni, mentre nella prima metà del 2011 la quota dell'export ammonta ad appena 317 milioni di dollari.

 

Per conoscere il verdetto bisognerà attendere ancora a lungo: una volta presentato il reclamo da parte di uno dei Paesi, le due nazioni hanno a disposizione 60 giorni per negoziare. Scaduto il tempo, se l'accordo non è stato raggiunto, il caso viene analizzato secondo le disposizioni del WTO per un periodo che va di solito dai 18 ai 24 mesi.

 

Intanto, mentre a Washington Ron Kirk dichiara guerra ai dazi cinesi, a Pechino il nuovo ambasciatore statunitense Gary Locke – ex segretario del Commercio – lancia un monito alla Cina. Intervenuto alla Camera di Commercio Americano, Locke ha spiegato come gli ostacoli posti da Pechino all'ingresso degli imprenditori stranieri nel mercato cinese non solo "piantano il seme del dubbio nelle menti degli investitori esteri riguardo l'accoglienza che riceveranno nel Paese", ma "generano anche frustrazione e risentimento". Tanto che molti legislatori propongono di adottare una linea più dura contro il Dragone.

 

Una posizione, quella di Locke, condivisa anche dal commissario Ue per il Commercio Karel De Gutch che, in una conferenza stampa a Bruxelles, ha spiegato come il rifiuto della Cina ad aprire il suo mercato potrebbe rivelarsi controproducente. Secondo De Gutch, nonostante la crisi del debito europea, un atteggiamento simile – riporta il Financial Times – potrebbe invogliare i politici europei a erigere barriere contro gli investimenti cinesi nel Vecchio Continente.

 

 

di Sonia Montrella

©Riproduzione riservata

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