Hong Kong, 15 apr. - Leggendo il titolo di questa mia "lettera", sono sicuro che molti avranno storto il naso pensando: "Ma come? Hong Kong non dovrebbe essere parte della Cina!?". Ebbene, nonostante la Repubblica Popolare sia tornata in possesso dei territori della "baia profumata" (questo il significato del nome cinese Xianggang) dall'ormai lontano 1° luglio del 1997, l'espressione coniata all'epoca ("un paese, due sistemi") non mi è mai parsa più adatta.
Mi sono convinto che solo vivendo in Cina e visitando poi questo minuscolo territorio (poco più di 1.000 km2, circa 7 milioni di abitanti) si possa avere una visione chiara del perché anche i cinesi giudicano questo territorio come "qualcosa d'altro".
In Cina, costumi e abitudini di vita sono in netta occidentalizzazione, ma un "laowai" ha sempre la sensazione di trovarsi in un mondo differente del quale non farà mai del tutto parte. E dopo essersi abituati a vivere in questo mondo per sei mesi, tornare improvvisamente a contatto con "casa propria" può risvegliare sensazioni sopite da tempo.
Ciò che stupisce di Hong Kong, oltre alla modernità e ad una ricchezza che sulla Cina continentale non è così comune (mi è parso che sia necessario essere in possesso di un portafoglio piuttosto fornito per potersela cavare decentemente ad Hong Kong), è l'atmosfera. Appena arrivato, mi sono reso subito conto di essere in un posto speciale, a cavallo tra due realtà.
Ma andiamo per ordine. Da Chengdu sono arrivato in aereo a Shenzhen (è il modo più economico per recarsi dalla Cina continentale ad Hong Kong). Qui ho attraversato la dogana (un processo un po' noioso, ma grazie al quale il viaggiatore comincia già a capire che sta effettivamente lasciando la Cina!). Una volta attraversata la frontiera si sale a bordo della MTR, la metropolitana di Hong Kong, che con la bellezza di 8 linee più una in costruzione, raggiunge in maniera capillare tutta la città. Dopo circa un'ora ecco che raggiungo Kowloon, l'aerea dove si trova il mio ostello.
La zona sembrerebbe elegante e raffinata, ma l'ostello si trova all'interno di un complesso ai primi due piani del quale è situato una sorta di mercato con attività commerciali gestite da immigrati provenienti dalle più disparate parti del mondo. Per strada gli stessi immigrati ti offrono orologi e gioielli falsi. Devo dire che il luogo in fondo non mi dispiace, mi ricorda un po' il mio dipartimento (Studi Orientali è situato in un edificio costituito da due piani: al piano terra troverete una sorta di mercato, mentre, salendo le scale, potrete trovare le nostre aule).
Il contrasto è comunque nettissimo: a soli cento metri si trova il negozio di Burberry, Gucci è dall'altro lato, così come Vuitton, lo Sheraton poco più avanti e il Peninsula Hotel giusto dietro l'angolo. Tutto sembra quasi ricordarti che Hong Kong è soprattutto un posto per ricchi.
La città è pulita, ben organizzata, i mezzi sono efficienti. Le persone sono gentili e non cercano di scavalcarti quando si è in fila. I costumi sono più rilassati, e anche la sessualità non è un tabù come spesso accade sul continente.
Ogni sera si ha qualcosa da fare, la vita culturale è attiva, come dovrebbe essere in ogni città cosmopolita degna di questo appellativo. Tra cinema, teatro, musei ed eventi sembra quasi di stare a Londra (devo dire che i "double decker" aiutano molto a ricreare l'effetto "british").
Ci si può rilassare anche in alcuni dei numerosi parchi presenti, in genere ricchi di animali (devo però ammettere che i parchi della Cina continentale sono più affascinanti, nonché molto più grandi).
Se si è disposti a spendere un po' per mangiare, ogni sera si può provare un ristorante diverso, dallo svizzero al giapponese, dal tedesco al tailandese. Per non parlare dei famosi dim sum, tipica specialità hongkonghese. Ovunque il cibo è ottimo.
Ciò che più stupisce è il fatto che tutto questo, simbolo di un'estrema modernità, si accosti armoniosamente alla tradizione. Spesso basta voltare l'angolo per ritrovarsi immersi nel tipico mercatino di strada cinese. Si vende di tutto, e in genere c'è sempre molta folla.
Tra mercatini e strade dedicate al commercio di uno specifico prodotto è possibile andare alla scoperta di un mondo che, al primo impatto, sembrerebbe non esistere più ad Hong Kong.
Visitando Macao, invece, non si ha la stessa impressione. Sembra quasi di essere andati in visita dal parente povero di un ricco industriale (forse è un'affermazione un po' forte, ma oltre a qualche edificio risalente all'epoca coloniale, le egg tart e i casinò, rimane poco altro).
Ho ricevuto un'impressione favorevole da Hong Kong, forse anche perché è più simile al mondo da cui provengo, cioè l'occidente. Questo non significa che non apprezzi i lati positivi della Cina (d'altronde è il paese in cui ora risiedo e sto studiando): Hong Kong e Cina sono due realtà differenti, con stili di vita differenti, due sistemi economici e politici differenti e quindi difficilmente paragonabili. Per quanto mi riguarda, credo sia difficile prevedere cosa accadrà tra poco meno di 40 anni, quando Hong Kong dovrebbe cessare ufficialmente di essere un "area speciale".
Una cosa è certa, coloro che credevano che dopo il 1997 la libertà di Hong Kong sarebbe stata limitata, si sbagliavano di grosso.
di Dario Fiorucci
Dario Fiorucci è uno studente della Facoltà di Studi Orientali. Dal settembre 2010 è in Cina con una borsa di studio.
La rubrica "Lettere dalla Cina" ospita gli interventi di giovani italiani che vivono e lavorano in Cina, offrendo spunti di vita quotidiana e riflessioni originali. Andrea Bernardi, Corrado Gotti Tedeschi, Elisa Ferrero e Gianluca Morgese.
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