Cina e Usa ai ferri corti
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Cina e Usa ai ferri corti

Cina e Usa ai ferri corti

Commercio mondiale. Il Governo cinese: «Misura protezionistica contraria allo spirito della Wto»
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SHANGHAI. Dal nostro corrispondente
I venti di guerra commerciale tornano a soffiare sulle due sponde del Pacifico. «È una misura protezionistica contraria allo spirito dell'Organizzazione per il commercio mondiale», ha avvertito ieri Pechino minacciando tuoni e fulmini contro il voto del Senato americano che, lunedì sera, ha dato il primo via libera a un disegno di legge che prevede l'imposizione di dazi punitivi nei confronti dei Paesi che sussidiano indirettamente le proprie esportazioni tenendo artificiosamente basso il tasso di cambio delle proprie monete. E la Cina, con il suo yuan dal valore irrealistico (è questa l'opinione di un folto movimento trasversale anticinese che all'interno del Congresso Usa preme da anni per il varo di misure di ritorsione), è sicuramente in cima alla lista Usa dei Paesi che commerciano slealmente praticando protezionismo valutario.
In Congresso peraltro si sta formando una maggioranza bipartisan per le "sanzioni". Ieri i sostenitori della proposta di legge - di origine democratica - hanno fatto sapere che alla Camera i favorevoli sono già 225, compresi 61 repubblicani.
L'ira del Dragone contro il progetto di legge, che entro la fine di questa settimana dovrebbe essere approvato dal Senato per poi passare alla Camera, è tale che - per la prima volta nella storia - a emettere una nota ufficiale di protesta sono state ben tre istituzioni pubbliche simultaneamente: la People's Bank of China, il ministero del Commercio e il ministero degli Esteri.
«È stato ampiamente dimostrato che la causa dello squilibrio dei flussi commerciali tra Cina e Stati Uniti non è lo yuan - ha detto il ministero degli Esteri cinese - la legge in discussione, quindi, è solo una scusa per varare provvedimenti protezionistici che rischiano di danneggiare seriamente le relazioni sino-americane».
Secondo la banca centrale, la Casa Bianca usa il sentimento anti-cinese interno al Congresso per sviare l'opinione pubblica americana dai veri problemi del Paese. «Non sarà certo la legge contro il renminbi a risolvere i gravi nodi dell'economia statunitense, come il basso tasso di risparmio, l'elevato disavanzo commerciale e l'alto tasso di disoccupazione» osserva la Pboc. «Al contrario - prosegua la nota di protesta - la legge potrebbe avere un impatto negativo sulla riforma del meccanismo di cambio dello yuan».
Se la Camera dei rappresentanti americana ratificherà la proposta approvata dal Senato (che per diventare legge dovrà comunque essere firmata da Barack Obama), conclude la Pboc, «potrebbe aprirsi una guerra commerciale che non vorremmo vedere».
Oggi come un anno fa, quando il Congresso Usa era sul punto di varare un analogo disegno di legge anti-Dragone imperniato sull'accusa di protezionismo valutario, la posizione di Pechino è sempre la stessa: Washington cerca capziosamente di politicizzare la questione del presunto squilibrio del cambio tra dollaro e renminbi per mascherare i gravi problemi che schiacciano l'economia americana.
E oggi come un anno fa è assai probabile che l'ennesima diatriba valutaria si risolva in una bolla di sapone. Per diverse ragioni. Perché in ballo ci sono oltre 300 miliardi di dollari di scambi commerciali annui tra le due superpotenze. Perché le economie dei due Paesi sono ormai troppo interdipendenti e, quindi, uno scontro frontale sullo yuan (una questione, peraltro, di assoluta sovranità del Governo cinese) non sarebbe nell'interesse di nessuno. E perché, in questa fase delicatissima della congiuntura globale minata dal rischio del debito europeo, l'amministrazione Obama non ha alcuna intenzione di entrare in rotta di collisione con la nomenklatura cinese.
Insomma, i deputati americani che strepitano contro l'aggressione commerciale del made in China, sostenendo che lo yuan sarebbe sottovalutato del 30-40 per cento nei confronti del dollaro, dovranno con ogni probabilità accontentarsi della politica dei piccoli passi scelta da Pechino per riformare la sua moneta. Una politica che, dal giugno 2010 a oggi, ha consentito al renminbi di apprezzarsi del 7% sul biglietto verde Usa.
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Export da 13 miliardi
Dopo cinque anni di dibattito, lo stallo sugli accordi commerciali con Corea del Sud, Colombia e Panama sembra superato: l'approvazione potrebbe arrivare la settimana prossima. L'altro ieri Barack Obama ha chiesto al Congresso una rapida approvazione: secondo le stime della Casa Bianca i trattati faranno aumentare l'export americano di 13 miliardi di dollari l'anno e contribuiranno all'obiettivo di raddoppiare l'export entro cinque anni

Consenso bipartisan
I trattati sono sostenuti da un raro consenso bipartisan, con il presidente della Camera John Boehner che li ha definiti «una priorità» e i democratici che riconoscono la necessità di Obama di mettere a segno una vittoria sul fronte del lavoro. L'amministrazione ha lavorato per superare l'opposizione dei sindacati a un accordo con la Corea, aggiungendo emendamenti favorevoli alle case automobilistiche Usa: resta però lo scetticismo dell'Afl-Cio, il maggiore sindacato nazionale

05/10/2011
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