I registi indiani presenti la scorsa settimana all'edizione 2009 dell' "International Indian Film Academy" – altresì chiamato "Bollywood Oscars" - guardano oltre il mercato hollywoodiano e mirano a stringere maggiori collaborazioni con la Cina. Anche la scelta della città di Macao per l'edizione 2009 riflette il desiderio di lavorare accanto ai colleghi cinesi. Secondo il direttore artistico dell'evento, Sabbas Joseph, molti dei soggetti cinematografici in concorso suscitano consenso fra il pubblico sia cinese che indiano per i valori tradizionali comuni tra le due culture. "Costituiamo un terzo della popolazione mondiale", ha dichiarato Sabbas , "se diventassimo un pubblico unico e integrassimo le capacità produttive, probabilmente vedremmo aprirsi un nuovo mercato e una nuova frontiera." Taran Addash, conclamato critico cinematografico, ha dichiarato in un'intervista all'AFP che la cooperazione fra i due paesi è attesa da molto tempo: "La prospettiva di una collaborazione cinematografica fra India e Cina mi entusiasma." Nei film cinesi gli attori, la tecnologia e l'utilizzo delle arti marziali costituiscono un passo avanti rispetto alla cinematografia India, e molti film cinesi doppiati ottengono un grande successo di pubblico nelle sale indiane. Lo scorso anno i botteghini hanno registrato il record nazionale di entrate pari a 610 milioni di dollari, registrando un incasso superiore del 27% rispetto a quello del 2007 anche grazie alla crescita di un pubblico giovane e con elevate capacità d'acquisto. Secondo gli ultimi dati messi a disposizione dall'Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive e Multimediali, nonostante le crisi economica si registra una tendenza positiva del cinema cinese che continuerà per tutto il corso del 2009. Nei primi 3 mesi di quest'anno si è verificata una crescita degli incassi di oltre il 50%. Tuttavia le co-produzioni sino-indiane sono ancora in uno stato embrionale. "Chandi Chowk to China", film prodotto del noto regista bollywoodiano Ramesh Sippy in collaborazione con la Warner Bros , ha registrato un boom di spettatori nelle sale a partire dalla sua uscita a gennaio. Il film, che racconta la storia di un indiano identificato per errore come la reincarnazione di un famoso guerriero cinese, è stato stroncato dalla critica indiana malgrado sia stato il primo film indiano girato in Cina. Fred Wang, direttore della casa di produzione Salon Films, ha dichiarato all'AFP: "Le due culture presentano alcune somiglianze circoscritte, ma anche alcune divergenze: la Cina, ad esempio, ha chiuso le porte all'Occidente per molti anni, mentre l'India è stata di fatto una colonia britannica." Wang ha inoltre affermato che c'è ancora molta strada da fare nel lavoro di sceneggiatura ed è necessario che i governi e le case cinematografiche di Cina e India investano dei fondi per permettere lo sviluppo in questa direzione. Il regista ha inoltre ricordato che la sua casa di produzione, che ha contribuito alla diffusione di molti capolavori hollywoodiani in Asia, sta lavorando ad un film sul buddhismo che sarà rivolto ad entrambi i mercati. Anche con una sceneggiatura valida, i registi bollywoodiani devono affrontare l'ostacolo di un mercato fortemente controllato come quello cinese. L'industria del cinema cinese è protetta da un sistema che consente la distribuzione di soli 20 film stranieri all'anno, oltre alle difficoltà relative alle autorizzazioni per girare sul territorio cinese.