Pechino, 13 apr.- Avvio, frenata. Comunicati ufficiali e dichiarazioni che si accavallano, fornendo un quadro mutevole, in continuo divenire, dietro il quale si intuisce un intenso lavorìo diplomatico, ancora lontano dalla conclusione: è la due giorni del vertice sulla sicurezza nucleare di Washington dove, ancora una volta, al centro del palcoscenico ci sono Stati Uniti e Cina, Washington e Pechino, l'Aquila e il Dragone, alla ricerca di una linea comune sul progetto atomico di Teheran. "I cinesi sono pronti a lavorare con noi sulle sanzioni" aveva dichiarato lunedì il funzionario della Casa Bianca Jeff Bader dopo il colloquio tra Barack Obama e Hu Jintao. "I due presidenti hanno concordato che le nostre delegazioni lavorino insieme sulle sanzioni" aveva poi aggiunto Bader, confermando l'ottimismo manifestato da un altro funzionario, Ben Rhodes: "Ci attendiamo risoluzioni entro la primavera, pensiamo che sia questione di poche settimane". Martedì è arrivata la doccia fredda, per bocca della portavoce del ministero degli Esteri cinese Jiang Yu: "Pressioni e sanzioni non possono risolvere il dossier iraniano,- ha dichiarato Jiang Yu nel corso di una conferenza stampa, a Pechino - i migliori strumenti sono il dialogo e il negoziato. La Cina sostiene una strategia a doppio binario". Un malinteso? Una strategia del gambero? La partita è complessa: la Cina, che intrattiene stretti rapporti commerciali con l'Iran, è sempre stata scettica sull'efficacia effettiva delle sanzioni e il suo seggio permanente in seno al Consiglio di Sicurezza dell'ONU può costituire un argine intorno al quale continuare i dialoghi, nonostante la ritrosia del Dragone a utilizzare il potere di veto. "La Cina ha acconsentito a negoziare la sostanza di una risoluzione delle Nazioni Unite per aumentare la pressione sull'Iran,- spiega ad AgiChina24 il prof. Zhang Tiejun, ricercatore specializzato in studi sulla pace presso la prestigiosa Università Jiaotong di Shanghai -ma fin dove è disposta a spingersi dipende da come cercherà di bilanciare la sua relazione con l'Occidente (non solo gli USA) e quella con Teheran, dove quest'ultimo elemento va anche letto in rapporto alla credibilità cinese nei confronti dei paesi in via di sviluppo. È un dilemma che la Cina deve fronteggiare in numerosi casi. Lo possiamo chiamare 'l'interesse nazionale cinese alle relazioni', e ha molto a che vedere con la doppia posizione della Cina, che da un lato è la più importante delle economie emergenti; dall'altro è una potenza mondiale, intesa come potenza che vuole condividere le responsabilità per un mondo prospero e pacifico". Molti analisti hanno sottolineato il fatto che, attraverso le merci che passano dagli Emirati Arabi Uniti, la Cina costituirebbe ormai di fatto il primo partner commerciale dell'Iran; qualcuno, come il quotidiano francese 'Le Figaro', parla addirittura di una "luna di miele" tra Teheran e Pechino, mentre altri sostengono che in molti casi l'affarismo cinese sarebbe vissuto con fastidio crescente dall'Iran, come già succede in alcuni paesi africani. Dove si situano veramente le relazioni sino-iraniane? Zhang risponde alle critiche sulla presenza nel Dragone nelle nazioni uscite dal colonialismo occidentale con un'argomentazione comune a moltissimi accademici cinesi: "In qualità di primo colonialista nella storia dell'Africa, fattore che implica un'eredità di collegamenti linguistici, economici e culturali, la Francia ha molte ragioni per non apprezzare le attività cinesi in Africa. La politica africana di Pechino non è perfetta, come nessun'altra politica. Dopo il vecchio approccio dell'era maoista, che consisteva nel manifestare solidarietà al terzo mondo in funzione anti-sovietica, questi rapporti sono però entrati in una fase nuova con l'inizio del nuovo secolo. Sul fronte economico, la nuova politica è costituita da relazioni commerciali bilaterali, con l'importazione di risorse naturali dalle nazioni africane e le esportazioni di prodotti cinesi: si tratta di un percorso basato sulla legge economica del vantaggio comparativo, e come tale è simile a quello di numerosi altri paesi; per questo mi viene difficile credere ai media occidentali quando dipingono la Cina come il nuovo colonialista del continente africano". La situazione di Teheran coltiva qualche somiglianza ma anche molte differenze: "Per quanto ne so, la Cina è effettivamente il primo compratore del petrolio iraniano - dice Zhang - e il commercio di altri prodotti è in aumento. Ma non penso che le relazioni bilaterali tra le due nazioni siano effettivamente così dolci da poterle definire una 'luna di miele'. Per esempio, l'Iran ha sempre preferito che la Cina restasse fuori, a confrontarsi con gli Stati Uniti. Ma questo è un elemento che la Cina aveva probabilmente calcolato in base ai propri interessi". Secondo il professore della Jiaotong University, il summit costituisce un'ottima occasione per la Cina per "migliorare la sua immagine internazionale, specialmente da un punto di vista simbolico". "Hu Jintao aveva lanciato l'idea di un 'mondo armonioso' nel 2005. Ora, cinque anni dopo, potrebbe essere il momento di riempire questa scatola del 'mondo armonioso' con qualcosa di concreto, come ad esempio la concezione cinese di non proliferazione e di sicurezza nucleare".
di Alessandra Spalletta e Antonio Talia
AgiChina24 ringrazia T.wai per l'opportunità di intervistare il prof. Zhang Tiejun