APEC: SI AL TPP, FERMI SU APPREZZAMENTO YUAN

Pechino, 14 nov.- I 21 Paesi dell'Asia-Pacific Economic Cooperation (Apec), riuniti da venerdì a domenica ad Honolulu, hanno detto si alla creazione della più grande zona di libero scambio di tutto il mondo. La Trans-Pacific Partnership (TPP) - fortemente voluta dal presidente degli Stati Uniti Barack Obama nel tentativo di riconquistare il favore degli americani - prevede  l'abbassamento delle tariffe doganali e la costruzione di un'area di libero scambio che riunisce quasi 800 milioni di consumatori e il 40% circa dell'economia globale. Nato nel 2005, il TPP era all'epoca solamente un oscuro accordo economico siglato tra Brunei, Cile, Nuova Zelanda e Singapore che ha ricevuto un nuovo, inaspettato, impulso nel 2008 con l'ingresso degli Stati Uniti, che hanno invitato diverse nazioni della regione a partecipare. "La regione Asia-Pacifico è assolutamente cruciale per la crescita economica degli Stati Uniti. Pensiamo che questa sia una priorità", ha dichiarato al forum Obama.

 

A far decollare il progetto, il via libera di Pechino che nei giorni scorsi si era mostrata contraria. Mentre sabato Australia, Brunei, Cile, Malesia, Nuova Zelanda, Perù, Singapore e Vietnam avevano accettato di partecipare e il Giappone aveva mostrato il suo interesse, la Cina aveva criticato la proposta. Poi il consenso: "La Cina sosterrà qualsiasi tentativo di promuovere una zona di libero scambio nell'Asia Pacifica e il raggiungimento degli obiettivi di integrazione economica regionale sulla base dell'East Asia Free Trade Area, the East Asia Comprehensive Economic Partnership e del TPP" ha dichiarato al forum il presidente cinese Hu Jintao.

 

Intesa raggiunta anche sulle tariffe dei cosidetti prodotti verdi, quali turbine eoliche, pannelli solari, lampade a risparmio energetico, le cui tasse d'importazione dovrebbero essere mantenute al di sotto del 5% entro il 2015, anziché il 2012 come proposto da Washington. E il condizionale è d'obbligo visto che, al contrario degli accordi in seno al WTO, quelli presi dai vertici dell'APEC non sono vincolanti.

 

Il vertice di Honolulu non ha sciolto però i nodi al pettine tra le prime due potenze economiche mondiali, primo fra tutti l'apprezzamento dello yuan. Su questo punto, Usa e Cina non sembrano fare passi in avanti, al contrario, secondo quanto riportato dagli addetti ai lavori, le conversazioni tra Obama e Hu sono state più tese che mai.

 

Sebbene nell'ultimo anno ci sia stato un leggero miglioramento la Cina non ha fatto abbastanza per rivalutare la sua moneta, ha affermato il presidente degli Stati Uniti che ha dichiarato secco: "Questo non è sufficiente". Da tempo Washington accusa Pechino di mantenere artificialmente basso il valore della sua divisa per facilitare le esportazioni e ritiene il Dragone in parte responsabile del tasso di disoccupazione del Paese. "Il deficit commerciale e il problema della disoccupazione degli Stati Uniti non dipende dal tasso di cambio" ha dichiarato Hu che ha poi ribadito che il renminbi deve apprezzarsi gradualmente."Se anche il valore della moneta cinese fosse più alta, non basterebbe a risolvere i problemi americani" ha poi aggiunto il presidente cinese. "La Cina deve giocare secondo le regole" ha sottolineato il presidente americano riferendosi non solo alla questione dello yuan, ma anche al problema della proprietà intellettuale.

 

Un Obama, quello di Honolulu, che Pechino ha definito "molto diretto" manifestando al presidente cinese l'impazienza e la frustrazione degli americani su alcune questioni. E dopo le richieste degli Stati Uniti, Hu è passato al contrattacco chiedendo alla sua controparte la rimozione delle restrizioni sulle esportazioni di prodotti hi-tech alla Cina e sulle opportunità per le imprese americane di investire nell'Impero di Mezzo.

 

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