Pechino, 15 nov. - Domani, mercoledì 16 novembre, scade l'ultimatum dato ad Ai Weiwei dall'ufficio delle imposte cinese. Il salatissimo conto da 15 milioni di yuan (circa 1,7 milioni di euro) recapitato all'artista un mese fa, tasse che secondo le autorità la Fake Cultural Development Ltd avrebbe evaso, deve essere saldato presso gli uffici competenti di Pechino.
Avendo in precedenza provato a screditare la figura di Ai Weiwei additandolo come pornomane, elemento anti-Cina ed evasore, Pechino aveva infine deciso di puntare sull'effetto bomba del denaro, argomento ficcante per un'opinione pubblica fin troppo disgustata dai ripetuti episodi di corruzione e "black money" che hanno interessato in passato gli strati più agiati della società cinese, dagli imprenditori scappati in Canada a ministri e esponenti politici di variegata importanza.Proprio per questo Ai Weiwei e Pu Zhiqiang – il suo legale – hanno optato per una strategia intransigente: nessuna ammissione di colpa, mr. Ai non è un evasore, faremo ricorso.
Essendo Ai Weiwei un soggetto anomalo, una persona giuridica speciale alla quale è possibile ritirare il diritto alla libertà per 81 giorni senza giustificazione apparente, anche le procedure fiscali possono godere di fantasiosi stratagemmi risolutivi.
In primis, lo studio Fake non sarebbe intestato ad Ai Weiwei, bensì alla moglie, ragion per cui l'avviso avrebbe dovuto raggiungere lei, non l'artista, che non risulta proprietario della società, bensì collaboratore a libro paga. Pur in un regime senza divisione dei poteri, un cinese accusato di evasione fiscale avrebbe diritto ad un ricorso legale, al quale si può accedere fornendo la garanzia di presenza di liquidità sufficiente nel conto intestato al presunto evasore.
Il fiume di donazioni ricevuto a tempo di record da Ai Weiwei dopo un appello sul social network Google+ - quasi 9 milioni di yuan arrivate tramite bonifico, aeroplanini di carta e sacchi di mazzette da 100 yuan lanciati oltre il cancello della sua abitazione pechinese – basterebbero come "caparra", ma le autorità hanno fatto sapere all'avvocato Pu che la procedura, pur in linea col diritto cinese, non sarà applicabile. I soldi, eventualmente, dovranno essere depositati in un conto ad hoc dell'ufficio delle imposte, versamento che Ai ha dichiarato di non voler effettuare: troppo facile a quel punto mostrare il pagamento come parziale saldo del debito, certificando quindi un'ammissione di colpa se non legale, almeno pubblica. Inoltre, ha spiegato ieri il legale dell'artista all'Associated Press (AP), una volta passato di mano il denaro, anche in caso di proscioglimento da ogni accusa, sarebbe molto complicato riavere indietro la somma integrale, che Ai Weiwei ha giurato di restituire fino all'ultimo centesimo ad ognuno degli oltre 30mila donatori.
A questo punto è difficile immaginare una via d'uscita per l'artista, anche a fronte dell'ultima minaccia delle autorità: se i soldi non arriveranno entro domani, il caso sarà spostato dall'ufficio delle imposte alla polizia, con conseguenze decisamente più gravi, probabilmente una nuova detenzione.
"E' molto semplice – ha dichiarato Ai Weiwei sempre alla AP – chi è al potere può fare ciò che vuole, il loro potere non ha alcun limite". Prendendo atto dell'onnipotenza del governo cinese, appare chiaro come la strada che Ai Weiwei ha deciso di percorrere abbia come obiettivo principale non la sua personale salvezza o incolumità, ma un progressivo risveglio e coinvolgimento della società civile cinese in una battaglia sui principi dello stesso diritto cinese.
L'eccezionale risposta di solidarietà ricevuta dall'artista – 30mila individui che hanno deciso di mobilitarsi economicamente per una causa che non li coinvolge direttamente - rappresenta un'ulteriore presa di posizione dello strato sociale cinese stanco dell'autoritarismo governativo, disposto a pagare il prezzo del cambiamento mettendo le mani nelle proprie tasche.
Per assurdo, anche se la vicenda fiscale di Ai Weiwei prenderà la piega che tutti temono – colpevolezza, prigione, pignoramento dei beni, immagine di Ai Weiwei screditata da tutti i megafoni della propaganda – la massa critica raccolta dall'artista rischia di essere per Pechino un problema ben più grande di un artista non armonizzato: la frangia dissidente, nell'ombra della retorica governativa, si sta ingrossando ed ha dimostrato la disponibilità a sporcarsi le mani.
L'attivismo economico, per l'élite di Zhongnanhai, rischia di trasformarsi in una sgraditissima sorpresa.
di Matteo Miavaldi
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