Non si fermano le polemiche sul pacchetto di stimoli all'economia da 4mila miliardi di yuan (circa 414 miliardi di euro) lanciato da Pechino nel novembre scorso per fronteggiare la crisi finanziaria internazionale: una recente direttiva emessa da diverse agenzie del governo centrale- inclusa l'importante Commissione Nazionale per le Riforme e lo Sviluppo- sembra riservare alle compagnie cinesi un canale preferenziale negato alle imprese straniere. "Con l'eccezione di tecnologie o servizi che non possono essere ottenuti a condizioni ragionevoli in Cina, all'interno del programma di investimenti del governo dovrebbero essere acquistati prodotti cinesi" si legge nella circolare emessa il 26 maggio scorso, ma pubblicata sul sito della Commissione solo in questi giorni. La direttiva giunge proprio nel momento in cui Pechino deve affrontare diverse accuse di protezionismo provenienti dall'estero: se infatti l'amministrazione Obama è impegnata in una disputa con la Cina in merito alle esportazioni di pneumatici, il presidente dell'Unione Europea delle Camere di Commercio Jorg Wuttke ha recentemente dato voce alle preoccupazioni della comunità d'affari dell'Ue sostenendo che le regole di diverse gare d'appalto mettono "automaticamente fuori gioco qualsiasi competitore straniero". Al centro del suo appello c'era l'ordine per 25 turbine eoliche- un progetto da più di 5 miliardi di euro- la cui assegnazione era stata decisa basandosi esclusivamente su criteri come il costo, a svantaggio del ciclo vitale del prodotto e, quindi, di alcune compagnie europee. Qualche mese fa un importante funzionario del ministero delle Ferrovie aveva dichiarato in alcune interviste ufficiali che per progetti come la linea ad alta velocità Pechino- Shanghai sarebbero state impiegate "esclusivamente tecnologie cinesi", mentre nel marzo scorso la decisione del ministero del Commercio Estero di bloccare l'acquisizione del colosso cinese delle bibite Haiyuan da parte di Coca Cola- un affare da 2.4 miliardi di dollari- aveva suscitato diversi malumori. Secondo molti critici, alla base di queste decisioni ci sarebbe il rifiuto da parte di Pechino di firmare il "World Trade Organization's Agreement on Government Procurement", il trattato WTO sulle procedure per le gare d'appalto bandite da enti pubblici, che per un'economia dominata dalle imprese di stato come quella cinese potrebbe significare un innalzamento degli standard di competitività. Ma la Cina non ci sta e respinge le accuse al mittente, a partire dagli Usa che all'inizio dell'anno avevano tentato di introdurre una clausola "Buy American" all'interno del loro pacchetto di stimoli. "La Cina continuerà ad aprire la sua economia a dispetto dell'impatto negativo della crisi globale, che nel paese ha causato un calo dell'import-export, un abbassamento della produzione industriale e un aumento della disoccupazione" aveva dichiarato ad aprile il presidente Hu Jintao, durante il G20 di Londra. Ma lo scambio di accuse reciproche non sembra destinato a chiudersi in tempi brevi.