"NO SANZIONI UNILATERALI CONTRO IRAN"
Pechino, 23 nov.- La Cina conferma la sua ferma opposizione a nuove e più dure sanzioni nei confronti dell'Iran: "Siamo sempre stati contro le sanzioni unilaterali contro l'Iran e ci opponiamo ancora di più all'estensione di tali sanzioni" ha detto mercoledì il portavoce del ministero degli Esteri di Pechino Liu Weimin nel corso di una conferenza stampa di routine.
"La Cina ritiene che le sanzioni non risolveranno la questione iraniana, ma avranno al contrario l'effetto di complicarla. Un inasprimento della contrapposizione non apporta alcun beneficio alla stabilità della regione".
La risposta di Pechino arriva dopo che lunedì scorso Stati Uniti, Gran Bretagna e Canada avevano annunciato nuove misure contro Teheran sul fronte energetico e finanziario, mentre la Francia ha proposto nuove sanzioni "senza precedenti", che includono il congelamento degli asset della Banca centrale iraniana e la sospensione degli acquisti di petrolio.
Ancora una volta, al centro di tutto, c'è il controverso programma atomico iraniano: il 18 novembre scorso il Consiglio dei governatori dell'Aiea ha approvato la risoluzione che esprime "profonda e crescente preoccupazione" per il programma nucleare iraniano, che sarebbe rivolto a scopi bellici. La risoluzione, approvata da 32 Paesi su 35, è stata elaborata dai cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell'Onu (Usa, Gran Bretagna, Francia, Russia e Cina) più la Germania e altri 12 stati, tra cui alcuni Paesi arabi.
"Tutto falso" ribatte Teheran, che sostiene di condurre un programma atomico per scopi pacifici e sostiene che il rapporto dell'Aiea e basato su falsi dossier delle intelligence dei Paesi occidentali.
Ma se Pechino concorda con gli altri partner internazionali nell'esprimere timori, dissente nettamente sulle sanzioni proposte dal fronte Washington –Londra - Ottawa. La Cina ha sostenuto nel passato le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, autorizzando limitate sanzioni, rifiutando però provvedimenti più severi, che potrebbero minare i suoi legami economici con Teheran.
I dati ufficiali della dogana cinese mostrano che nei primi nove mesi del 2011 l'Iran ha spedito 20.3 milioni di tonnellate di greggio in Cina, un aumento di circa un terzo rispetto alle quote dell'anno precedente. Stime internazionali mostrano che Teheran sarebbe il terzo fornitore di greggio di Pechino, che per il regime degli ayatollah rivestirebbe addirittura il ruolo di primo partner commerciale, attraverso triangolazioni commerciali su rotte alternative come ad esempio quella degli Emirati Arabi Uniti. Un dato, quest'ultimo, seccamente smentito dalla Cina.
Le relazioni tra Pechino e Teheran, tuttavia, non sono così semplici come potrebbe apparire in superficie: secondo alcune fonti anonime citate dalla Reuters all'inizio di settembre, la Cina starebbe riducendo gli investimenti nel settore energetico in Iran dopo le numerose pressioni esercitate su Pechino da parte degli Stati Uniti.
"I funzionari cinesi si stanno dimostrando inclini a collaborare - dichiarava a ottobre alla Reuters un'anonima fonte del Congresso USA che segue da vicino la vicenda - e penso che abbiano iniziato a farlo dal 2010, quando ci hanno fatto intendere che, pur non dichiarandolo pubblicamente, non avrebbero fatto passi avanti nei nuovi contratti con Teheran". Secondo questa fonte, l'Iran avrebbe espresso la sua insoddisfazione alla Cina per il rallentamento dei nuovi accordi e, anche se il Dragone non intende mettere in pericolo le sue relazioni con gli ayatollah, i rapporti tra le due nazioni potrebbero diventare più difficili.
I media iraniani riferiscono che da giugno ad oggi China National Petroleum Corporation - il più importante gruppo energetico cinese - ha ricevuto già due volte le lamentele con le quali le controparti iraniane chiedevano un'accelerazione nei lavori sullo sviluppo del gigantesco giacimento di gas naturale South Pars, con l'implicita minaccia della rescissione di un affare che vale miliardi di dollari. CNPC aveva ritardato le esplorazioni sin dal 2010, quando venne firmato un contratto da 4.7 miliardi di dollari per sviluppare la fase 11 del giacimento South Pars. Le lamentele iraniane arrivano dopo che CNOOC, un altro gigante energetico cinese, aveva liquidato le sue quote del giacimento North Pars, abbandono avvenuto - secondo anonimi funzionari cinesi - su diretta pressione del governo di Pechino.
Agli inizi di novembre l'autorevole giornalista israeliano Nahum Barnea ha pubblicato sul suo giornale i piani militari di un attacco che Usa, Israele e Gran Bretagna potrebbero sferrare contro l'Iran.
L'articolo non è mai stato smentito.
E, anche se i rapporti tra Pechino e Teheran possono essersi raffreddati, difficilmente il Dragone gradirebbe un'operazione militare rivolta contro l'Iran.
di Antonio Talia
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