"INDIGENOUS INNOVATION"

Pechino, 18 giu.- Che cos'è la politica cinese per promuovere l' "Innovazione nazionale" e perché sta creando così tanto malcontento tra le aziende straniere? Di "Indigenous innovation", in Cina, si parla da parecchio tempo, ma gli indirizzi politici in materia prendono forma nel novembre dello scorso anno con la circolare n.618, che fissa sei aree di produzione (hardware per le telecomunicazioni, hardware per computing e application, software, prodotti per lo sfruttamento delle energie rinnovabili, prodotti ad alto risparmio energetico e moderni equipaggiamenti da ufficio) ritenute di fondamentale importanza per innovare il modello di sviluppo cinese, affrancando l'economia dalla dipendenza dal manifatturiero e dalle esportazioni. Dopo aver individuato le aree d'interesse, la circolare stabilisce che, a parità di condizioni tra le aziende che intendono ottenere contratti pubblici d'appalto dalla pubblica amministrazione cinese, venga accordata una certa preferenza a quelle che detengono brevetti e proprietà intellettuale "sviluppati in Cina" e "completamente indipendenti da organizzazioni e società localizzate all'estero". All'inizio dell'aprile 2010 la Commissione Nazionale per lo Sviluppo e le Riforme, insieme al ministero delle Finanze e al ministero della Scienza e della Tecnologia, pubblica per i commenti una bozza della norma che contiene alcune modifiche alla circolare 618 di segno più favorevole alle aziende straniere: la proprietà intellettuale e i brevetti di determinati prodotti, ad esempio, non devono più essere necessariamente sviluppati in Cina, ma è sufficiente che siano registrati in territorio cinese; sul fronte energetico, inoltre, non è più necessario che le produzioni abbiano conseguito "standard tecnologici tali da eguagliare o superare la media internazionale", ma è sufficiente che ne venga dimostrata l'efficacia nella lotta all'inquinamento e nell'ecosostenibilità. I commenti sulla nuova bozza della norma si sono chiusi a metà maggio, e da allora si sono aperte le candidature per tutte le compagnie che puntano a ottenere il certificato di "indigenous innovation". Anche se, come si è visto, la versione del 2010 è molto meno penalizzante per le aziende straniere rispetto a quella originale, le politiche per promuovere "l'innovazione nazionale" stanno suscitando numerose domande tra la comunità d'affari straniera in Cina: lo US-China Business Council, ad esempio,si chiede se i cambiamenti tra le due versioni siano stati recepiti dalle amministrazioni locali o se le singole province non continuino invece a basarsi su liste discriminatorie di prodotti, e lamenta a gran voce la scarsa chiarezza sul grado di preferenza che la pubblica amministrazione accorderà ai prodotti che possono fregiarsi del bollino di "indigenous innovation" rispetto a quelli che ne sono privi. Secondo molte imprese straniere che detengono tecnologie avanzate, inoltre, le nuove regole non sono altro che un nuovo passo verso quella politica di trasferimento forzato delle conoscenze che Pechino avrebbe lanciato da tempo per assicurarsi il meglio di brevetti e tecnologie disponibili sui mercati internazionali. Il 17 maggio scorso il segretario del Commercio USA Gary Locke aveva espresso tutta la sua preoccupazione nel corso di un incontro alla American Chamber of Commerce di Hong Kong: "Queste misure potrebbero procurare alle compagnie cinesi che partecipano alle gare d'appalto un vantaggio su quelle straniere- aveva dichiarato Locke- e ritengo che le aziende americane siano rimaste sorprese da questo genere di politica". Perplessità simili erano state espresse anche dall'ex Segretario della Camera di Commercio dell'Unione Europea Jorg Wuttke che, in un rapporto, aveva lamentato il crescente protezionismo in atto in tutta la Cina, anche grazie alle misure per l'innovazione nazionale. Le ultime polemiche in ordine di tempo risalgono all'inizio di questa settimana, quando la US International Trade Commission ha accolto le richieste di numerose compagnie statunitensi e ha iniziato ad esaminare i danni che potrebbero derivare dalle nuove regole alle aziende attive in settori quali il software e le energie rinnovabili. "Le norme sugli appalti pubblici non sono ancora state approvate definitivamente – ha dichiarato Lee Branstetter, professore di economia alla Carnegie Mellon University- e potrebbero rivelarsi molto meno discriminatorie di quanto appare sulla carta", ma intanto, sempre questa settimana, i CEO di 12 compagnie di software americane, incluso Steve Ballmer della Microsoft, si sono incontrati con funzionari dell'amministrazione Obama per discutere la questione. Il segretario del Tesoro USA Timothy Geithner ha reso noto che la Cina ha acconsentito a discutere il campo di applicazione delle nuove norme: solo quando i legami tra indigenous innovation e appalti pubblici saranno chiariti e le leggi completamente approvate sarà possibile comprendere appieno se "innovazione nazionale" è anche sinonimo di protezionismo.
di Antonio Talia
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