« I salari contano più del cambio»
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« I salari contano più del cambio»

« I salari contano più del cambio»

INTERVISTA Stephen King (Hsbc)
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SHANGHAI. Dal nostro corrispondente
Sganciando lo yuan dal dollaro, dopo quasi due di anni di cambio fisso, la Cina ha mosso un passo importante. Ma sarebbe fuorviante parlare di rivalutazione. Stephen King lo dice a chiare lettere: «Chi pensa che in futuro la moneta cinese sia destinata a muoversi a senso unico verso l'alto potrebbe anche restare deluso», avverte il capo economista globale di Hsbc, la banca straniera più presente e radicata in Cina.
Allora tutti quelli che ieri sono a corsi a cambiare i loro dollari, euro o yen per acquistare yuan rischiano di perdere la scommessa?
Il rischio più concreto è rappresentato da un ulteriore scivolone dell'euro sul dollaro. In questo caso, la Cina non potrebbe certo lasciar salire troppo lo yuan sulla moneta americana, perché così facendo l'apprezzamento della valuta cinese sull'euro risulterebbe amplificato. E ciò sarebbe assai dannoso per le esportazioni cinesi verso l'Europa.
Quindi cosa è logico attendersi dopo la mossa della People's Bank of China?
Esattamente quello che c'è scritto nel comunicato della banca centrale cinese, e cioè una maggior flessibilità dello yuan. Il che significa che la moneta cinese, sebbene tutto lasci pensare che nei prossimi mesi sia destinata a rivalutarsi sul dollaro, teoricamente potrà muoversi in entrambe le direzioni in funzione anche delle dinamiche del mercato valutario internazionale.
Veramente questo della flessibilità è un ritornello che la Cina canta ormai da tempo. In sostanza, cosa cambierà ora?
Semplice: per le autorità monetarie cinesi il paniere valutario diventerà uno strumento cruciale nella gestione quotidiana del cambio dello yuan.
Se per questo il paniere esisteva già dal 2005, ma in realtà non ha mai funzionato. Perché mai dovrebbe iniziare a funzionare proprio adesso?
Tra il 2005 e il 2008 il meccanismo si è inceppato a causa della marcata debolezza del dollaro che ha ristretto i margini di manovra della Cina sulle altre monete. Così, alla fine il punto di riferimento dello yuan è rimasto il dollaro e, contrariamente agli auspici della Pboc, il sistema di cambio ha finito per irrigidirsi.
Crede che Pechino questa volta svelerà la composizione e le modalità di funzionamento del paniere valutario?
No, non lo farà sicuramente. E non posso biasimarli perché, come dimostrano le esperienze del passato tipo il Serpentone europeo, svelare i dettagli di un paniere valutario è controproducente perché fa il gioco degli speculatori. Meglio tenere tutto segreto.
Alcune associazioni industriali cinesi hanno espresso forti contrarietà allo sganciamento dello yuan dal dollaro, sostenendo che anche una piccola rivalutazione avrebbe potuto mettere fuori mercato migliaia di piccole e medie imprese export oriented che operano su margini di profitto minimi. Condivide questi timori?
No, perché credo che oggi, a differenza del passato, la competitività del sistema manifatturiero cinese dipenda solo marginalmente dal tasso di cambio. Per capire quale sarà l'evoluzione dell'industria cinese bisogna guardare altri fattori come la produttività e, soprattutto, i salari. È evidente che, se questi ultimi dovessero andare fuori controllo, l'industria cinese soffrirà terribilmente.
Eppure, da un anno a questa parte, gli Stati Uniti hanno scatenato una vera e propria guerra sul valore dello yuan accusando apertamente la Cina di protezionismo valutario. Pensa che ora siano soddisfatti?
Sicuramente nel breve termine la decisione della People's Bank of China stempererà un po' le tensioni tra l'Amministrazione Obama e il Congresso sollevate dalla questione renminbi. Ma in futuro potrebbe bastare poco per farle scoppiare nuovamente.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

22/06/2010
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