### Crisi: la soluzione non verra' dai consumi cinesi - TACCUINO DA SHANGHAI
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### Crisi: la soluzione non verra' dai consumi cinesi - TACCUINO DA SHANGHAI

### Crisi: la soluzione non verra' dai consumi cinesi - TACCUINO DA SHANGHAI

di lettura

di Alberto Forchielli *

(Il Sole 24 Ore Radiocor) - Milano, 17 ott - E' riuscito il
consumatore cinese a sostituire quello statunitense? La
risposta, pur complessa, e' negativa. Nonostante le buone
intenzioni, i consumi cinesi sono diminuiti negli ultimi
anni rispetto al Pil. Nel 2010 ne hanno rappresentato il
35%, due punti in meno del 2008 (erano il 48% nel 1998). Pur
essendo aumentati in valore assoluto, i consumi sono dunque
cresciuti meno del Pil. I risparmi sono al contrario
aumentati. Sfioravano il 50% del Pil lo scorso anno, un
record dopo l'ascesa iniziata nel 2003, quando la
percentuale era del 27%. Negli stessi anni, gli Stati Uniti
registravano valori rispettivamente del 4 e del 5%. La crisi
innescata nel 2008 sembrava aver spianato la strada ad
un'emersione compiuta del consumo cinese. Lo auspicava la
comunita' internazionale, preoccupata dei crescenti disavanzi
commerciali ed in cerca di una leva per la crescita globale.
Soprattutto la stimolava parte della dirigenza cinese,
convinta che dare fiato ai consumi interni avrebbe
proiettato il paese verso una modello di crescita piu'
bilanciato e sostenibile. La modestia dei risultati
raggiunti si spiega con la prevalenza del risparmio negli
atteggiamenti sociali dei cittadini, ma sopratutto con gli
utili crescenti e non distribuiti delle imprese statali
(SOE). Per le famiglie, le preoccupazioni del futuro sono
importanti quanto le aspirazioni a una vita migliore. Il
progresso individuale - con gli status symbol che ne
derivano - e' compensato da atteggiamenti di attesa.
L'incertezza del welfare, i costi per l'istruzione dei
figli, il timore dell'inflazione, contengono i consumi in
aumenti monetariamente rilevanti, ma strutturalmente
soltanto fisiologici. Gli stimoli fiscali hanno solo
scalfito la prudenza. E' tuttavia l'origine del risparmio che
offre le maggiori leve interpretative. Esso deriva in buona
parte dai profitti delle State Owned Enterpises (SOE) che
mostrano impermeabilita' nei confronti delle direttive di
Pechino di distribuire dividendi. Nella realta' i dividendi
non ci sono e i profitti vengono re-investiti nei settori
piu' diversi e diversificati fino ad arrivare alla
speculazione edilizia e all'intermediazione del credito nei
confronti delle piccole e medie imprese che accesso al
credito bancario non hanno. La forza delle Soe e' radicata
nella storia e nel presente. Sono espressione della vecchia
pianificazione, ma hanno raggiunto notevoli successi anche
nella loro conduzione da business tipicamente privato. Hanno
facilmente accesso al credito, detengono un potere
incontrastato nei tessuti territoriali, traggono vantaggio
dell'opacita' del sistema bancario, rappresentano il 70% dei
profitti delle aziende quotate in borsa e il loro peso
nell'economia aumenta, mentre quello del settore privato,
dopo gli anni d'oro del grande sviluppo, sta retrocedendo
vistosamente e statisticamente. Le Soe resistono alle
direttive di Pechino che tenta di forzare la distribuzione
di dividendi da destinare a spese sociali che aumenterebbero
la propensione al consumo. Mentre il Governo persegue una
stretta monetaria, il denaro viene trovato in canali tinti
di grigio, dove i fondi delle Soe affluiscono rapidi grazie
a un arbitraggio che consente loro di attingere a fondi
bancari al 7% per prestarli a tassi del 40%. Alimentano gli
investimenti e dunque hanno bisogno del risparmio. Per
ironia, Pechino e' consapevole che per migliorare la
redditivita' degli investimenti servono nuovi investimenti di
tipo sociale. Vorrebbe procedere piu' spedita, ma e'
ostacolata dal potere delle vecchie lobby. Paradossalmente
sono proprio i consumi a soffrire, sacrificati al risparmio
convertito in investimenti manifatturieri e
infrastrutturali. La Cina sembra non saper uscire da un
modello investment intensive che l'ha condotta al successo
negli ultimi decenni. Tutti i grandi comparti produttivi
scontano importanti eccessi di produzione, dal cemento,
all'alluminio, alle automobili, al vetro, ecc. ecc. causati
degli esagerati investimenti del passato che non accennano a
flettere. Le folli spese in infrastrutture ferroviarie per
creare l'alta velocita' sono sommerse dai microblog di
protesta dei cittadini che lamentano treni costosi e
pericolosi. Le spese individuali non decollano, e il loro
volo basso significa che 'Mister Wang' non riesce ancora a
diventare 'Mister Smith' e che un sistema
politico/industriale estremamente interconnesso enuncia
riforme, ma arranca quando deve cambiare delle variabili
economiche che toccano i tradizionali centri di potere
politico. Mentre lo scenario di breve dell'economia cinese
rimane indiscutibilmente positivo, la maggior parte degli
intellettuali e delle persone di buon senso si domanda se la
fine di un'epoca e di un modello di sviluppo stia
rapidamente diventando realta'. Non si tratta di
fanta-scenari, ma di situazioni che a medio termine
potrebbero far emergere una crisi bancaria in stile tutto
cinese di fronte alla quale anche le ingenti riserve
valutarie potrebbero essere messe a dura prova.

* presidente Osservatorio Asia

(RADIOCOR) 17-10-11 15:42:53 (0208)news 5 NNNN
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