Roma - (di Nicola Graziani) Da sempre indecisa tra Engels e Felipe Gonzalez, la sinistra spagnola che si avvia alla conta alle elezioni di domenica scopre il gusto del Volver, il ritorno alle origini. I sondaggi sembrano premiarla, complice uno stallo politico che dura da sei mesi.
Da dicembre la Spagna tira avanti, in un periodo di profonda crisi, a forza di governi dimissionari e tutti sperano che la prossima settimana possa vedere un esecutivo nel pieno dei poteri giurare finalmente fedeltà nelle mani del Re. Un re che però Alberto Garzon, economista marxista nato alla vigilia del 1989, vuole spedire nella soffitta della Storia. Un bel paradosso, se si considera che e' proprio Garzon, stando all'opinione raccolta dagli istituti demoscopici, il politico considerato più affidabile dall'elettorato spagnolo. Stima personale non significa maggioranza in parlamento, comunque, perchè la sua Izquierda Unida alle inconcludenti elezioni di dicembre ha ottenuto un misero 4 percento, tradotto in un seggio su cento alle Cortes.
Troppo poco per fare la rivoluzione, ragion per cui la sinistra unita (che nel suo 4 percento offre asilo allo stesso Partito Comunista) ora si presenta con la forza più affine, quel Podemos che da dicembre in poi non è riuscita a tradurre in peso politico i consensi ottenuti alle urne. La formula pare funzionare: Unidos Podemos, il fronte della protesta contro i due partiti tradizionali, Pp e Psoe, sempre nei sondaggi conta un buon 25 percento. Anche qui una quotazione inadeguata per governare da soli; piu' che sufficiente, d'altro canto, per entrare a testa alta in un governo di coalizione, influenzandone le scelte che contano. E qui si aprono due problemi: con chi governare, e per fare cosa.
Primo corno della questione, gli eventuali alleati di governo. Difficile che possano essere gli uomini del Partito Popolare, il cui leader Mariano Rajoy è considerato troppo a destra, troppo liberista. Ciudadanos, forza centrista di moderata protesta, pare altrettanto inadeguata all'alleanza. Resta il Psoe, o quel che resta del Psoe dopo la crisi dei tempi di Rubalcaba: il partito ora guidato da Pedro Sanchez a dicembre ha avuto il 22 percento ed oggi e' dato al 21, una consistenza potenzialmente adeguata per arrivare ad una maggioranza e troppo esigua per dominarla. Inoltre sempre di sinistra si tratta, seppure di una sinistra edulcorata, e c'e' poi un'ulteriore considerazione da fare, dal sapore molto italiano: la scommessa e' che la base socialisti non vuole nuove grandi coalizioni di sorta con Rajoy, e nemmeno con Ciudadanos. Il Psoe che vira a destra e' un partito socialista che va incontro ad un triste destino. E qui si apre la seconda parte del ragionamento, quella sulle scelte politiche, ad iniziare dall'economia. Ma ecco la sorpresa: il marxista Garzon si scopre, da massimalista che era, riformista, e più che a Lenin guarda a colui che Lenin definiva 'il rinnegato Kautsky'. "Sappiamo che il capitalismo non finira' in una notte", dichiara suadente al Financial Times con cautela degna di un Labriola. Quindi si pensa ad un programma ardito, ma non di rottura. Lo scopo sara' quello di creare 300.000 posti di lavoro grazie ad un programma di opere pubbliche, nella migliore tradizione keynesiana; i soldi si troveranno con l'aumento delle tasse sui redditi unito ad una stretta sulle deduzioni e le agevolazioni di cui gode a tutt'oggi l'impresa. Quanto basta per far drizzare le orecchie al capitale finanziario, e con ragione perche' Garzon, un economista che ha dedicato buona parte delle sue energie alla disamina delle cause e degli effetti della crisi economica, promette l'impensabile: lasciare allo Stato un ruolo regolamentatore nell'amministrazione della moneta.
In termini pratici, si tratta del destino di Bankia, l'istituto di credito nazionalizzato a forza nel pieno delle tempeste finanziarie. L'accordo con l'Unione Europea prevede un ritorno al privato del gruppo finanziario entro il dicembre 2017, ma "quell'accordo deve essere rinegoziato" per lasciare Bankia in mani pubbliche da cui verranno sapientemente dispensati crediti per rilanciare l'economia nazionale. Inutile dire che le critiche sono pesanti, e il finale della storia tutto da scrivere. Ma Garzon e' sicuro che si tratti dell'unica via d'uscita dalla crisi per il suo paese come per la stessa Bruxelles. Intesa piena a riguardo con Podemos, l'altro partner della coalizione elettorale. C'e' pero' chi e' gia' pronto a scommettere che la convivenza tra lui e Pablo Iglesias, il gigionesco leader alleato, non sara' facile ne' dal punto di vista personale, ne' da quello dottrinario. "Noi siamo marxisti, loro postmarxisti", tranquillizza ancora il guru di Izquierda Unida, "ma le radici e la traiettoria sono le stesse, e non e' poco". Per il momento i sondaggi gli indici di gradimento lo premiano. Ma i sondaggi veri, quelli delle urne, arriveranno solo domenica. Nel frattempo vengono in mente le parole con cui Karl Marx consigliava prudenza agli operai di Parigi che nel 1870 dettero vita alla Comune: "Migliorino con calma e risolutamente tutte le possibilita' offerte dalla liberta' repubblicana, per lavorare alla loro organizzazione di classe". Un secolo e mezzo dopo, qualcuno ascolta dalle parti di Madrid. (AGI)