Roma- Dopo anni di negoziati globali, due settimane di intensi colloqui e parecchie notti insonni per limare i dettagli, i delegati di quasi 200 Paesi sono in procinto di raggiungere, a Parigi, uno storico accordo per limitare il riscaldamento globale. Redatto nell'opaco linguaggio tecnico che si e' evoluto negli ultimi 20 anni di colloqui sul clima, il documento - in attesa dell'approvazione finale e asciugato a 31 pagine - fissa il tetto del 'global warming' "ben al di sotto dei 2 gradi", puntando l'asticella al target di 1,5 gradi.
Le temperature globali hanno gia' subito un rialzo di circa 1 grado rispetto ai livelli pre-industriali; se quest'aumento raddoppiasse, come piu' volte hanno avvertito gli scienziati, i rischi per il clima sarebbero enormi. Isole come le Marshall, ad esempio, rischierebbero di venire sommerse dall'innalzamento dei livelli del mare e, per questo, alla Cop21 di Parigi hanno spinto per il contenimento entro 1,5 gradi, trovando il sostegno di piu' di 100 Paesi, dell'Ue e soprattutto degli Usa. Tra i contrari, invece, l'Arabia Saudita, secondo cui un obiettivo cosi' ambizioso potrebbe mettere a rischio la sicurezza alimentare.
Altro punto chiave del negoziato, intrinsecamente connesso col precedente, e' stato il taglio delle emissioni inquinanti. I Paesi piu' a rischio climatico e molte ong avevano chiesto a gran voce un impegno chiaro e concreto mentre i cosiddetti giganti emergenti - India e Cina in primis - premevano per posticipare o sfumare qualsiasi obbligo, rivendicando il diritto a bruciare carbone e a crescere economicamente. La questione, sul tavolo dei negoziati, e' divenuta anche lessicale e giovedi' sera nel testo era presente la dizione "neutralita' di CO2". Nella bozza finale si legge che, per ridurre la temperatura "ben al di sotto dei 2 gradi", "le parti puntano a raggiungere il picco globale delle emissioni di gas serra il prima possibile, riconoscendo che i Paesi in via di sviluppo impiegheranno piu' tempo per tale picco, e a intraprendere successivamente rapide riduzioni in base alla miglior scienza disponibile, in modo da raggiungere un equilibrio tra le emissioni antropogeniche dalle fonti e la rimozione dei gas serra tramite pozzi nella seconda meta' di questo secolo, sulla base dell'equita' e nel contesto dello sviluppo sostenibile e degli sforzi per sradicare la poverta'". Una formula apparentemente complessa che, tuttavia, gli addetti ai lavori interpretano come fissante l'obiettivo 'net-zero emissions' o neutralita' carbone. Quanto all'impegno finanziario, chiave di volta per il successo di Cop21 e una delle cause del fallimento della conferenza di Copenhagen nel 2009, e' stato naturalmente al centro delle trattative e delle 'limature'. Anche perche' i repubblicani Usa avevano gia' fatto sapere che avrebbero dato battaglia per impedire che i miliardi dei contribuenti americani andassero al Fondo verde per il clima. L'impegno era stato appunto gia' preso a Copenhagen: 100 miliardi di dollari all'anno entro il 2020 per aiutare i Paesi in via di sviluppo.
Alla fine il punto e' stato inserito nelle decisioni non vincolanti che accompagnano il testo dell'accordo; qui si dice che prima del 2025 la conferenza fissera' "un nuovo obiettivo di raccolta da una base di 100 miliardi all'anno". Nell'articolo 9 del testo vincolante, invece, ci si limita a statuire che "i Paesi sviluppati forniranno risorse finanziarie per assistere quelli in via di sviluppo", senza alcun riferimento a cifre ne' date. (AGI)