Con i forti cali di ieri, legati ai timori per il rallentamento dell'economia cinese, tutti e tre gli indici di Wall Street hanno chiuso la settimana in zona correzione, avendo perso il 10% dall'ultimo picco. È la prima volta dal marzo 2016 che il Dow Jones, il Nasdaq e lo S&P, che ieri hanno perso rispettivamente il 2,02%, l'1,91% e il 2,26%, sono entrati simultaneamente in zona correzione. Si tratta di una sorta di allarme rosso, che scatta quando le perdite superano del 10% l'ultimo picco e si differenzia dal 'bear market', più pericoloso ancora, che scatta quando la soglia di allarme, cioè le perdite dell'indice, superano del 20% l'ultimo massimo.
L'ultimo a cedere il 10% dal suo ultimo picco è stato ieri il Dow Jones, mentre lo S&P è sceso di oltre l'11% dal suo recente massimo toccato a settembre e il Nasdaq è sceso di quasi del 15% dal massimo di agosto. Ovviamente adesso bisognerà vedere quanto durerà questo periodo di sbandamento: più i mercati resteranno in zona correzione e più la situazione diventerà rischiosa. In questa fase di estrema volatilità dei mercati azionari, dovuta al cambio di marcia della Fed, che ha avviato una prolungata e graduale stretta monetaria, un brusco calo a Wall Street nel fine settimana è diventato una sorta di consuetudine: gli investitori non si fidano ad affrontare il weekend restando lunghi, come si dice in gergo, cioè tenendosi grossi stock di azioni in portafoglio, per cui se ne liberano, tenendosi 'corti'.
Mercati in agitazione
Il motivo? La volatilità dei mercati, appunto, che ieri è stata accentuata dalla spia rossa che si accesa sulla Cina, dove la locomotiva delle crescita economica appare in affanno. O meglio, Pechino deve affrontare una congiuntura particolarmente insidiosa: far fronte a un rallentamento del suo spettacolare boom economico trentennale, mentre è alle prese con un conflitto commerciale con gli Stati Uniti. Come non bastasse, ci si è messa anche la Bce, che giovedì ha annunciato la fine del Qe, cioè ha confermato che dal primo gennaio foraggerà di meno i mercati finanziari, in vista di una stretta che dovrebbe concretizzarsi dopo l'estate del 2019.
Insomma, i mercati non sono tranquilli e hanno chiuso la settimana male: Wall Street in correzione e anche Asia ed Europa hanno perso terreno. Queste turbolenze azionarie a dicembre, specie a Wall Street, sono un'anomalia, come nota il Wall Street Journal in genere questo è un mese in cui le le Borse Usa salgono, mentre quest'anno dall'inizio del mese gli indici hanno perso il 5,5% e i cali hanno riguardato un po' tutti i settori, con una prevalenza per il tecnologico, che è quello che è cresciuto di più e che dunque, nelle fasi di turbolenza, tende a sgonfiarsi maggiormente. In compenso l'immobiliare e le utility, che hanno ritorni più stabili, sono invece i titoli che hanno perso di meno.
Questa tendenza a rimanere corti nei fine settimana è il segnale di una scarsa propensione al rischio degli investitori che, secondo gli esperti, è destinata a protrarsi per qualche tempo. Quanto a lungo? Secondo gli esperti sentiti dal Wall Street Journal molto dipenderà dall'andamento del negoziato tra Cina e Usa sul commercio. Dopo la tregua di 90 giorno concordata all'inizio del mese e che si concluderà a fine marzo, finora i segnali sono stati altalenanti. Quindi difficilmente prima della fine di marzo le turbolenze cesseranno sui mercati.
Perché la Cina rallenta
La locomotiva cinese, dunque, rallenta. Lo dimostrano alcuni importanti dati macro: le vendite al dettaglio, che a novembre sono cresciute solo dell'8,1% ai minimi da 15 anni, e la produzione industriale, che il mese scorso ha registrato un +5,4% il minimo dal febbraio 2016. In compenso gli investimenti fissi sono saliti del 5,9% tra gennaio e novembre, un po' piu' delle attese. Tuttavia gli investitori hanno ugualmente reagito male all'infornata di dati, il cui impatto ha provocato un corto circuito sulle piazze azionarie.
A preoccupare i mercati è il fatto che il governo cinese aveva recentemente introdotto diversi stimoli per rafforzare l'economia, che mostrava segnali di rallentamento. Più nel dettaglio Pechino aveva annunciato investimenti nel settore delle infrastrutture e aveva iniettato liquidità nel sistema bancario, per stimolare i prestiti alle famiglie e alle imprese. I dati odierni dimostrano però che queste misure si stanno dimostrando inefficaci e che probabilmente le autorità di Pechino dovranno intervenire ulteriormente. Ieri il Politburo, l'ufficio politico, uno degli organismi più importanti del Partito comunista cinese, si era impegnato a "mantenere l'attività economica a un livello ragionevole" e a "stabilizzare ulteriormente" l'occupazione, gli investimenti e il commercio estero.
Ora probabilmente le autorità cinesi dovranno passare dalle parole ai fatti. Tra i più recenti segnali di indebolimento dell'economia cinese c'è il settore dell'auto (la Cina è il primo mercato mondiale dell'auto), che a novembre ha registrato un calo del 14%, il quinto a livello mensile del 2018. L'associazione nazionale dei produttori si aspetta per quest'anno un arretramento delle vendite di auto, il primo passo indietro in Cina dagli anni Novanta. La scorsa settimana un'altro dato macro ha messo in guardia gli analisti, le importazioni a novembre sono cresciute solo del 3%, contro un atteso +14%.