La Federal Reserve ignora il presidente Donald Trump e lascia i tassi d'interesse invariati nel range compreso tra il 2,25% e il 2,50%. Alla vigilia del verdetto del Fomc, il comitato monetario della Fed, Trump aveva reclamato una sforbiciata dell'1% al costo del denaro Usa, per spingere la crescita "a razzo". Nel suo complesso l'economia "prosegue su un sentiero sano e il comitato ritiene che l'attuale orientamento di politica sia appropriato", e' stata la risposta indiretta a Trump del presidente della Fed, Jerome Powell, durante la conferenza stampa seguita all'annuncio sui tassi.
Segnali contrastanti
Se il Pil è cresciuto più delle attese nel primo trimestre, da gennaio a marzo, la Fed ha rilevato un rallentamento nelle spese delle famiglie e negli investimenti delle imprese. Anche l'inflazione resta sotto il target del 2%, ma Powell ha definito il fenomeno transitorio, perché se fosse persistente sarebbe "qualcosa di cui dovremmo preoccuparci".
Alla luce di questi segnali contrastanti sull'economia, Powell ha insistito sulla necessità di mantenere una strategia attendista. La Fed "sarà paziente" nel valutare i futuri aggiustamenti al costo del denaro perché al momento non emergono fattori che spingano "in una direzione o nell'altra". La Fed ha deciso tuttavia di ridurre il tasso di interesse sulle riserve di liquidità in eccesso dal 2,4% al 2,35%.
La banca centrale americana ha alzato il costo del denaro ogni trimestre lo scorso anno e l'ultima volta a dicembre del 2018. Da allora l'inflazione è inaspettatamente diminuita. I prezzi al consumo 'core', ovvero al netto di alimentari ed energia, sono saliti di appena l'1,6% a marzo su base annua, con un calo dell'1,8% rispetto a gennaio e del 2% rispetto a dicembre.