Singapore - Il prezzo del petrolio è in calo dopo il fallimento del vertice di Doha. I paesi produttori non sono riusciti a mettersi d'accordo sul congelamento della produzione. Sullo sfondo le tensioni tra Arabia Saudita e Iran. Sui mercati asiatici i future sul Light crude Wti cedono di 1,89 dollari a 38,47 dollari e quelli sul Brent perdono 1,82 dollari a 41,28 dollari.
Le Borse europee aprono in calo dopo il mancato accordo. In rialzo lo yen per la scarsa propensione al rischio degli investitori. Tokyo ha chiuso negativa del 3,4%. Londra perde l'1,09% a 6.274,86 punti. A Milano l'indice Ftse Mib segna -1,81% a 17.923 punti. Francoforte arretra dell'1,17% a 9.933,70 punti e Parigi scende dell'1,51% a 4.425,25 punti. Anche l'indice Rts (denominato in dollari) della borsa di Mosca apre in calo del 4,25% e l'indice Micex (denominato in rubli) cede l'1,09%. Il rublo arretra di oltre il 2% sul biglietto verde. Restando sul fronte valutario, corre lo yen e scende la propensione al rischio degli investitori. L'euro è poco mosso a 1,1283 dollari e scende a 121,85. Dollaro/yen a 108 dopo un minimo a 107,77. Giù il ringgit malese, il dollaro australiano, il won sudcoreano, la rupia indonesiana, il baht thailandese, il peso filippino e i dollari di Taiwan e Singapore.
Mancato accordo al vertice
Si è infatti concluso in un nulla di fatto il summit di Doha. L'obiettivo era non tanto quello di tagliare la produzione ma almeno di congelarla ai livelli di gennaio, come era previsto da un'intesa provvisoria raggiunta a febbraio. I veti incrociati, soprattutto tra Arabia Saudita e Iran, non hanno permesso di trovare l'intesa che avrebbe permesso di sostenere il rilazo delle quotazioni (scese di oltre il 50% negli ultimi mesi) e di interrompere la spirale ribassista che sta mettendo in crisi le economie di tutti quei Paesi che negli ultimi decenni sono cresciuti soprattutto grazie alle esportazioni. Ora se ne riparlerà a giugno e in questi due mesi ogni Paese potrà regolarsi come ritiene. Probabile quindi che permanga l'eccesso di offerta stimata in 1-2 milioni di barili al giorno a livello globale, con la Russia e l'Arabia Saudita che stanno producendo a livelli da record con l'intento di mettere in difficoltà gli operatori americani di shale oil.
L'Iran aveva cercato di ottenere una deroga al congelamento dei prezzi invocando il fatto che, dopo la fine dell'embargo, avrebbe bisogno di riportare la produzione di petrolio al periodo precedente le sanzioni per rilanciare la sua economia. Il ministro del Petrolio, Bijan Zaganeh, che ha inviato un suo rappresentante a Doha, ha ribadito che Teheran non congelerà la produzione finchè la repubblica islamica non sarà tornato ai livelli produttivi precedenti alle sanzioni internazionali del 2011 e da parte sua Riad si è opposta a qualsiasi deroga. (AGI)