Il futuro dell'energia spiegato ai ragazzi
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Il futuro dell'energia spiegato ai ragazzi

Il futuro dell'energia spiegato ai ragazzi

a cura di Luisa Berti
 L'incontro tra i ragazzi e Descalzi (Foto Eni)
 Foto dal sito Eni.com -  L'incontro tra i ragazzi e Descalzi (Foto Eni)
Cento studenti, 20 domande (alcune anche molto dure) e l’amministratore delegato dell’ENI Claudio Descalzi a rispondere. Il 10 maggio nel Laboratorio di Bolgiano, dopo la visita del presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, è andato in scena, in diretta web, un inedito “uno contro tutti”. Un centinaio di studenti scelti nelle scuole dove l’ENI ha progetti didattici e di alternanza scuola lavoro; oppure nelle zone in cui opera maggiormente, hanno intervistato Descalzi sul futuro dell’energia, le potenzialità delle rinnovabili, il ruolo del gas quale fonte energetica di transizione (nella foto di apertura, Descalzi con i ragazzi e Riccardo Luna, direttore dell'Agi, che ha moderato l'incontro). E poi i progetti per l’Italia, la trasformazione di alcune raffinerie in raffinerie verdi, le criticità riscontrate in Basilicata, l’impatto ambientale ed il futuro dei giovani in Italia.
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Qui di seguito le domande e le risposte in qualche caso leggermente modificate nella forma per renderle più comprensibili.
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Andrea Ricupero (Istituto Majorana di Brindisi).
Quale sarà il ruolo del petrolio e del gas nello scenario energetico internazionale futuro?

Antonio Palmieri (Master in “Petroleum Engineering” del Politecnico di Torino)
Come l’azienda ha intenzione di migrare verso un mix energetico più sostenibile, integrando fonti rinnovabili a quelle tradizionali e quale sarà il ruolo delle fonti fossili nei prossimi decenni?
Descalzi: “Noi non usiamo il carbone che oggi occupa il 40% della generazione energetica, soprattutto elettrica, e produce il 77% della Co2 emessa dagli idrocarburi. Se venisse eliminato completamente, cosa che non si può fare, in un secondo raggiungeremmo subito l’obiettivo della COP21. Come Eni ci siamo mossi in tempo sulle rinnovabili e soprattutto sulla promozione del gas, che produce meno emissioni inquinanti. In Italia e nel mondo stiamo cercando di sfruttare i nostri siti e le nostre attività per sostituire il gas con le rinnovabili. Noi siamo la prima società energetica in Africa. E in Italia facciamo rinnovabili al Sud. Per ora abbiamo coperto il 40 per cento della superficie disponibile. Arriveremo a recuperare gran parte delle nostre aree per destinarle alle fonti energetiche alternative, fino ad arrivare ad un binomio gas-rinnovabili”.

Riccardo Petrelli (Master Medea).
Cosa pensa dello sviluppo di un eventuale mercato delle capacità (capacity market) e cosa ha intenzione di fare con i cicli combinati a gas in possesso di Eni e che non stanno performando, economicamente parlando, come il vecchio management pensava quando sono stati costruiti?
Descalzi: “L’Eni ha investito 6 miliardi di euro per sviluppare i cicli combinati e lo ha fatto per promuovere l’utilizzo del gas. Se però da un lato sono stati dati incentivi alle rinnovabili (13 miliardi) e noi abbiamo fatto investimenti nel gas, ma dall'altro è stato promosso e non certo rallentato l'utilizzo del carbone. In questo contesto, poiché il gas ha un costo doppio rispetto al carbone (è arrivato a costare fino a 3 volte), con questi meccanismi le centrali di carbone hanno ucciso tutte le centrali a ciclo combinato. Chi viveva solo di cicli combinati ha fatto una grossa fatica. Per tale ragione sono stati dati degli incentivi sugli impianti a ciclo combinato, affinché possano mettere a disposizione una capacità di generazione aggiuntiva da attivare durante l'anno nei momenti di maggiore richiesta energetica. Ma si tratta di un sistema schizofrenico, perché si incentivano le rinnovabili, si incentivano i cicli combinati e comunque si continua a produrre il carbone. Se non ci fosse il carbone, non avremmo bisogno di incentivi per i cicli combinati e ci sarebbero molte meno emissioni. Ma il primo ministro ha appena detto che la Strategia energetica nazionale ha un capitolo che prevede l’uscita totale dal carbone fra il 2025 e il 2030”.

Chiara Del Frate (Master in “Petroleum Engineering” del Politecnico di Torino).
L’Eni sta rivolgendo la sua attenzione anche a fonti di energia alternative. In particolare su quali risorse rinnovabili si investirà di più nei prossimi anni?
Descalzi: “Siamo la prima società in Africa, presenti in 15 Paesi africani. Lavoriamo sul fotovoltaico dagli anni ’80 e abbiamo dei progetti di ricerca sul solare a concentrazione e sul riscaldamento dei fluidi. Ma non siamo solo in Africa. Nel mare del Nord per esempio stiamo lavorando molto sull’eolico attraverso delle joint venture e nell’ambito della trasformazione dell’upstream (le vecchie piattaforme) stiamo cercando di sviluppare il marino, lo sfruttamento delle onde”.
Descalzi: “Per poter informare bisogna parlare e comunicare. In questi ultimi tre anni la comunicazione è stata verso le istituzioni. Abbiamo incontrato gli stakeholder non solo in Italia, abbiamo fatto dieci audizioni parlamentari, abbiamo dialogato anche all’estero e abbiamo iniziato ad utilizzare una piattaforma web che racconta quello che facciamo (eni.com). Quando però bisogna creare discontinuità su temi con la Gas Advocacy e la rinnovabili è necessario parlare personalmente alle persone ed oggi con voi è per esempio un momento di comunicazione e informazione personale".
Andrea Molaro (Ultimo anno di magistrale in "Oil & Gas production").
Come risponde alle perplessità che valutano la strategia aziendale di focalizzarsi sull'upstream (settore esplorazione e produzione) rischiosa, soprattutto a fronte di una maggiore esposizione alla volatilità dei prezzi del petrolio?
Inoltre, come si pensa di risolvere con lo Stato, i problemi legati agli iter autorizzativi che in Italia sono ad oggi di circa di 50 mesi (ovvero pari a cinque volte quelli di molti paesi esteri in cui l'azienda opera)?"
Descalzi: “Eni produceva in Italia quasi 400mila barili al giorno a fine anni ’90 e oggi ne produce 130mila. Ciò succede non perché non abbiamo risorse, ma perché c’è una situazione difficile da spiegare. L’Italia è densamente popolata e vede l’esplorazione e la produzione come un’aggressione molto contaminante, anche se non è così. Abbiamo 0,25 incidenti su un milione di ore lavorate contro un terziario che ha da otto a dieci incidenti. Noi continuiamo le nostre attività, ma penso che non bisogna nemmeno forzare troppo l’opinione pubblica. Non si può combattere contro i mulini a vento: ci sono cose si possono fare e cose che non si possono fare. L’Italia rimane sempre per noi il primo paese. Abbiamo lavorato molto su quello che abbiamo, e cerchiamo di ottimizzare il più possibile. Potremmo raddoppiare la produzione, oggi copriamo il 10% del fabbisogno nazionale e potremmo arrivare al 20. Io però penso che non ce la faremo e per far sopravvivere l’azienda siamo costretti a diversificare. Comunque continueremo ad essere in Italia e nei prossimi anni investiremo 21 miliardi in quattro anni. Ma non faremo i boom”.
Descalzi: “In questo settore stiamo investendo moltissimo, per l’Italia abbiamo un piano di bonifiche e abbiamo asset abbastanza maturi. Ci sono 3 miliardi di euro messi da parte per fare bonifiche, e ogni anno ad esse sono dedicati circa 300/400 milioni di investimenti. Negli ultimi 7 o 8 anni abbiamo speso 2,5 miliardi. E va detto che l’80% delle aree che stiamo bonificando attualmente sono cose che non erano di Eni e che ci sono state attribuite. Sull’oil spill abbiamo investito molto, 100 milioni per la ricerca negli ultimi 2 anni, non solo per l’Italia ma per tutto il mondo”.

Raffaele Sassano (Istituto scientifico G.Peano di Marsico Nuovo).
Visto il netto aumento, negli ultimi anni, delle malattie cancerogene nella mia zona, mi interesserebbe sapere quali misure vengono effettivamente prese per preservare l'ambiente e la salute degli abitanti delle zone limitrofe.

Antonio Petrocelli (viene da Tramutola in provincia di Potenza.
Ha partecipato al progetto Erasmus, insieme ai ragazzi di altre tre nazioni: Olanda, Norvegia e Croazia.
Perché nella Val d'Agri, l’incidenza di malattie oncologiche è cresciuta esponenzialmente in seguito alle attività estrattive?

Maria Lourdes Pasquariello
Lo scorso mese è stato chiuso il "centro oli di Viggiano" a causa della contaminazione di ferro, manganese ed idrocarburi. La produzione di idrocarburi in Basilicata, in quanto una delle principali regioni estrattrici italiane, ha negli ultimi anni sollevato polemiche riguardanti la gestione di queste risorse. Quali sono i provvedimenti che Eni ha deciso di prendere a riguardo e quali gli obiettivi che si prefissa di raggiungere in territorio lucano nell'ambito della sostenibilità ambientale?

Nicole Verdi
Perché si parla di emergenza ambientale nelle falde acquifere del lago Pertusillo a causa di sostanze legate all'estrazione del petrolio?

Descalzi (in risposta alle quattro ultime domande): “Partiamo dal discorso dei tumori che gira come le classiche fake news. Nella lista italiana del comparto sanitario della Regione, la Basilicata e in particolare la Val d’Agri è al penultimo posto per numero di morti, dopo c’è la Calabria. Il tasso maggiore, purtroppo, è in Val d’Aosta, Friuli Venezia Giulia, Lombardia e Piemonte, tutte regioni dove non si producono idrocarburi. Questo viene fuori dalla statistiche, non le nostre, quelle ufficiali.
“Secondo. Le accuse di contaminazione del Pertusillo sono arrivate ancor prima che entrassimo in produzione. Ribadisco che non c’è nessuna connessione tra le nostre attività e l’inquinamento del lago. Sono cose mai successe. Nella Val d’Agri ci sono affioramenti superficiali di oli, le cosiddette fontanelle, fin dai tempi dei romani. E’ una regione ricca di olio. Tutto quello che sta succedendo è colpa nostra perché siamo gli unici che stanno lavorando. Lo accettiamo, ma non accettiamo la disinformazione e non accettiamo la rete che racconta che siamo degli assassini e dei mostri. Non lo siamo. Non lo siamo.
“Infine nel centro olio di Viggiano ci sono 4 serbatoi, uno è stato chiuso per l’ispezione a novembre 2016 perché c’erano state delle perdite. Le acque adesso sono state pulite e analizzate e stiamo costruendo un doppio fondo e lo faremo anche agli altri 3 per evitare ogni tipo di problemi. Voglio precisare che le perdite sono state solo all’interno del centro e le acque interessate sono solo quelle che riguardano il centro olio. Inoltre per legge i serbatoi usati per la parte upstream non devono avere un doppio fondo, mentre è obbligatorio per quelli del downstream. Noi lo stiamo facendo lo stesso per non allarmare ulteriormente la popolazione che già è allarmata da informazioni non corrette
“Penso però che per la Val d’Agri ci sia stato un nostro errore di comunicazione. Una sottostima. Dovevamo spiegare meglio quello che facciamo e come lo facciamo. Fare divulgazione capillare. Essere ancora più presenti sul territorio. E quello che non è stato fatto non è colpa della Val d’Agri è colpa nostra”.

Raffaele Sassano (Istituto scientifico G.Peano di Marsico Nuovo).
Lei dice che non ci sono state contaminazioni. Ma quattro o cinque giorni fa è uscita la notizia sul Fatto Quotidiano in cui si dice che l’ENI ammette lo sversamente di 400 tonnellate di petrolio. Nel centro oli, che comunque è grande una quarantina di chilometri. Come fa a dire una cosa del genere?

Descalzi: “No il centro oli è una aerea molto più limitata, a Viggiano. E’ un’area presidiata e delimitata. E non è vero che ha creato un danno alla salute degli abitanti”.

Flavio Fiore (Master Petroleum engineering del Politecnico di Torino).
Successivamente all'incidente del Golfo del Messico (pozzo "Macondo") dell'aprile 2010, la Commissione europea ha reagito per migliorare la sicurezza sulle attività di estrazione in mare. Si è dunque arrivati all'approvazione di una direttiva europea recepita in Italia con il Decreto Legislativo 145/2015. In questo documento sono riportati i requisiti minimi per la prevenzione degli incidenti gravi nelle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi. Come è cambiato l'approccio di Eni relativamente alla prevenzione dei grandi rischi in mare successivamente alla approvazione di questo decreto?
Descalzi: “Per noi non è cambiato molto, perché già rispettavamo i requisiti richiesti dall’Europa in base alle nostre regole interne, soprattutto per quanto riguarda quelle relative alla salute, al rispetto dell’ambiente e alla sicurezza. Da quel momento abbiamo comunque rispettato anche la regola restringente delle 12 miglia. Ma c’è da dire che Eni in mare fa solo estrazione di gas, superficiale e a bassa pressione, e quelle regole valgono principalmente per l’olio profondo ad alta pressione e temperatura”.

Saida Machicote (Master Petroleum engineering del Politecnico di Torino).
Eni sta investendo o intravede la possibilità di farlo in futuro nella ricerca sulle biomasse provenienti dai rifiuti urbani e quanto crede possano rivelarsi promettenti come fonte di energia alternativa?
Descalzi: “Da qualche anno abbiamo fatto ricerca su questo e nella raffineria di Gela che stiamo trasformando, come è accaduto per quella di Venezia, ci sarà il primo esempio di economia circolare. Potremo utilizzare grassi animali, olii fritti e residui di lavorazione di piante. Quindi dei rifiuti che possono essere trasformati in olio, in questo caso bio-diesel. Abbiamo una tecnologia patentato che in molti ci chiedono”.

Annunziata De Marinis (Master Petroleum engineering del Politecnico di Torino).
Come mai in un paese sviluppato come l'Italia, negli stabilimenti di Taranto e Sannazzaro, nel giro di poche settimane, ci sono stati due incendi?

Descalzi: “Si tratta di incidenti che riguardano le installazioni e non le persone. Incidenti grossi nel comparto mondiale della raffinazione ce ne sono uno ogni dieci anni. Inoltre nessuno dei due incidenti ha superato le soglie di emissione. Da un punto di vista statistico, essendo combustibili ad alta temperatura, un incidente può succedere. L’importante è avere un sistema di sicurezza che permetta di individuare l’incendio e bloccarlo, in modo che non impatti né sull’ambiente né sulle persone”

Claudia Romano
Eni ha presentato il progetto "Green Refinery" ma la riconversione green degli impianti e il rilancio economico promessi sembrano tardare. Cosa state cercando di fare per accelerare i tempi?

Kevin Monachella (Istituto tecnico Morselli di Gela)
Durante l'alternanza scuola-lavoro ci è stato parlato della piattaforma Prezioso K ma adesso Eni ha deciso di fare un passo indietro e sostituire la piattaforma con una piattaforma a terra. Vorrei capire i motivi.
Descalzi (in risposta alle due domande): “Le due cose sono legate. Fann parte del progetto Gela. Partiamo dall’ultima. Non abbiamo fatto un passo indietro, ma due in avanti. Abbiamo deciso di fare quello che si faceva in mare a terra perché si risparmiano circa 60mila tonnellate di Co2 emessa ogni anno. Questo è capitato anche perché abbiamo avuto più tempo per riflettere visti i 24 mesi di ritardo dovuti al ricorso di 4 comuni e alcune Ong al Tar. Ricorso che abbiamo vinto e anche quello al Consiglio di Stato. Quindi a questo punto avremmo potuto fare il progetto iniziale, ma durante questo periodo ci è venuto in mente che a Gela abbiamo a disposizione molto spazio - quello all’interno della raffineria - per sviluppare il progetto a terra. E ciò ci permette di aumentare anche il numero delle persone occupate, si passerà da 900 del progetto iniziale a 1500. Sul ritardo della trasformazione della raffineria di Gela c’è un problema di tempistica autorizzativa che riguarda l’impatto ambientale. Già da qualche mese siamo pronti per iniziare a lavorare da novembre, ma manca l’ok finale. Cercheremo di recuperare il ritardo, ma si va avanti”.
Andrea Villan (Master Petroleum engineering del Politecnico di Torino).
Quale pensa che potrà essere il ruolo dei combustibili fossili e di conseguenza il nostro ruolo in quanto geologi e ingegneri di giacimento/drillers nel futuro dell’azienda?
Descalzi: “Nel mondo continuerà ad esserci necessità di petrolio e gas, magari non proprio in Italia, ma nel resto del mondo sicuramente. Abbiamo il 95% delle attività upstream fuori dall’Italia. Abbiamo davanti ancora 20-30-40 anni e ci serviranno geologi, ingegneri e perforatori.”

Dalila Grilli (Master Petroleum engineering del Politecnico di Torino).

Qual è la politica di Eni nella partecipazione ai fondi per la ricerca? L’azienda ha intenzione di finanziare progetti svolti da enti di ricerca pubblici che siano esterni ad essa?

Descalzi: “La propensione alla ricerca è patrimonio genetico di Eni. dal 2009 al 2016 abbiamo già investito 1 miliardo e 500 milioni. Siamo connessi con moltissime università, solo in Italia 35, senza contare il resto del mondo. Lavoriamo non solo per fare progetti, ma licenze e tecnologie da applicare. Negli ultimi 8 anni abbiamo sviluppato 6000 licenze e 300 tecnologie che stiamo utilizzando in tutti gli ambiti, dalla perforazione alla sicurezza e all’impatto ambientale. La trasformazione di ENI di cui abbiamo parlato dipende dalla capacità di fare ricerca e sviluppare tecnologie innovative”.

Marco Giuliani (Politecnico di Milano, corso di laurea Energy Engineering)
A che punto del processo di digitalizzazione si trova l’Eni, in particolare sarebbe interessante avere un confronto con gli altri colossi del settore e quali sono gli obiettivi e le opportunità del digital oilfiled per Eni?
Descalzi: “Come struttura siamo una società, soprattutto per l’upstream, che divora dati, quindi i big data e i grandi centri di calcolo sono il nostro pane quotidiano. Abbiamo un green data center che lavora su 6 milioni di miliardi di operazioni al secondo. Ci siamo concentrati sui big data fin dagli anni ’80. E’ proprio il nostro lavoro che ci richiede un’attitudine verso l’uso dei dati. Eni ha, inoltre, un centro di calcolo che è considerato tra i primi al mondo nel settore energetico ed 14esimo posto nel mondo”.

Giovanni Crimi (Master Medea).

Sentiamo ogni giorno storie di cervelli in fuga, giovani laureati che vanno all'estero a cercare fortuna (io stesso ho passato alcuni periodi all'estero dato che sentivo l'Italia un po' stretta e provinciale ma sono tornato grazie all'opportunità del master Medea). Quali sono i consigli che si sente da dare a noi giovani? Date le condizioni che noi tutti conosciamo, ci consiglia di rimanere o partire? Cosa farebbe al posto nostro?

Gianluca Raffaele Cuzzola (Master Petroleum engineering del Politecnico di Torino).

Roosevelt nel suo discorso di insediamento disse: “Abbiamo bisogno del coraggio, dell’immaginazione e dell’entusiasmo dei giovani”. A 90 anni di distanza, Lei oggi, come AD della più grande azienda italiana, come si pone nei confronti di questa affermazione e quale consiglio o esortazione si sentirebbe di dispensare ad un giovane neo-assunto all’interno dell’azienda?
Descalzi (in risposta alle due domande): “Io ho girato sempre il mondo, ma sono rimasto in Italia. Suggerisco a voi di fare così, perché è importante sviluppare cose che fanno uscire l’Italia fuori dai propri confini. E’ quello che ha fatto e continua a fare Eni”.“Quando si finisce l’università e si ha un contratto a tempo indeterminato non si va in pensione. Ci vogliono propulsione, energia e iniziativa. Ogni mestiere ha bisogno di novità e di motivazione. I giovani aiutano a fare il salto di qualità e a cambiare pelle. L’importante che i giovani non diventino vecchi. Si deve essere giovani sempre, non solo anagraficamente. Bisogna poi essere generosi, saper investire negli altri. Dare cose e non chiederle. Chi chiede è morto, chi dà ha vinto”.

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