P arlare oggi di Europa è una vera avventatezza. Javier Cercas, 56 anni, non nasconde l’onore e l’onere che Massimo Bray e Nicola Lagioia, rispettivamente presidente e curatore editoriale del Salone di Torino, gli hanno affidato per chiudere l’evento di apertura della trentunesima edizione. Lo scrittore e saggista spagnolo, frequentatore assiduo della kermesse piemontese, ha così iniziato la sua lezione citando una massima di sant’Agostino sulla natura del tempo, adattata per raccontare le contraddizioni di un’Europa che nessuno, in fondo, sa definire in maniera certa: “Se nessuno mi chiede cos’è l’Europa, so la risposta. Ma se dovessi provare a spiegarlo a chi me lo domanda, non ci riuscirei”.
E pluribus unum
Il titolo della lectio magistralis si rifà alle caratteristiche di quella utopia che l’Europa sogna di essere: una grande pluralità di voci, tradizioni, lingue e storie differenti che si esprimono attraverso un unico e coeso Stato federale. Secondo Cercas, l’Europa si è dimenticata di alcuni fatti e alcune caratteristiche che hanno contribuito a renderla, nei secoli, un punto di riferimento per tutto il mondo. “Molte persone e molti giovani identificano l’Europa con l’Unione Europea. E l’Unione europea si identifica, nel peggiore dei casi, con un insieme sgranato e improbabile di Paesi con tanto passato e scarso futuro, e nel migliore dei casi con un ente sovranazionale freddo, astratto e distante. Come Bruxelles, una capitale fredda, astratta e distante, che non si sa bene a cosa serva”.
Ma la promessa europea di un futuro più giusto e moderno può essere trovata anche recentemente. Lo scrittore spagnolo cita prima il politologo inglese Mark Leonard, che nel 2004 pubblicava un libro dal titolo “Perché l’Europa guiderà il ventunesimo secolo”, e poi il sociologo americano Jeremy Rifkin che, nello stesso anno, affermava come “il sogno americano languiva e un nuovo sogno europeo iniziava a vedere la luce”. Cos’è cambiato da allora? “Abbiamo vissuto una crisi economica terribile, simile a quella del 1929”. Ma se quasi un secolo fa quella crisi aveva anticipato una guerra che pochi anni dopo avrebbe cambiato il volto del mondo, quella del nuovo millennio ha fatto emergere quei demoni, come il nazionalismo, capaci di diffondere “discordia e disunione”
Il pericolo del nazionalismo, carburante per la guerra
“Per me l'Europa non ha mai smesso di essere quella che vedevo da giovane, in una Spagna appena uscita dalla dittatura franchista. Come Erri De Luca sono un europeista estremista. Per me l’Europa unita è l’unica utopia politica ragionevole che noi europei siamo stati in grado di creare”. E ci sono diversi fatti che lo provano ma che spesso non sono abbastanza considerati per colpa di quella che Cerca chiama “dittatura del presente” per cui tutto ciò che è accaduto una settimana fa è già preistoria. Lo sport europeo per eccellenza, dice ancora Cercas, non è il calcio ma la guerra. Nell'ultimo millennio gli europei si sono ammazzati, in tutti i modi possibili, senza darsi neanche un mese di tregua. Tutti i nostri antenati hanno conosciuto scontri, battaglie e migliaia di morti.
“La mia è la prima generazione della Storia a non aver visto una guerra tra le grandi nazioni europee”. Ma allo stesso tempo sarebbe un’ingenuità, per Cercas, pensare che ciò non possa ricapitare nei prossimi anni perché “il nazionalismo è il carburante che ha alimentato questi scontri”. Secondo l’intellettuale spagnolo, i nazionalisti oggi giudicano l’Europa una cianfrusaglia inservibile e senza anima che li costringe a vivere con persone che hanno lingue e abitudini strane. “Loro, invece, preferirebbero vivere con quelli che pensano siano i loro simili e respirando, citando Nietszche, il vecchio odore della stalla”. Il nostro compito, dunque, è quello di costruire un futuro che sia ben conscio di quello che è avvenuto nel passato. Per non ripeterlo ma, allo stesso tempo, per non dimenticarlo.
Una democrazia non perfetta ma perfettibile
La grande sfida dell’Europa, sottolinea ancora Cercas, consiste nel cercare di far convivere due cose che in linea di principio sembrano inconciliabili: la diversità culturale e l’unità politica. “Solo così potrà dare il meglio di sé”. L’Europa, forte e unita, rappresenta “l'unica strada per arginare il potere cieco delle multinazionali e, citando Jurgen Habermas, di un capitalismo furioso e che oltrepassa le frontiere nazionali”. Gli europei, infine, dovrebbero comprendere che “la democrazia perfetta non esiste. Una democrazia perfetta è una dittatura, è finta. La democrazia perfetta è quella perfettibile, che può sempre migliorare ed essere migliorata”. In un futuro di stati disuniti, destinati a giocare un ruolo secondario nello scenario mondiale, gli europei rischiano infatti di perdere i loro benefici e i loro privilegi. Privilegi ottenuti grazie a quell’eroismo della ragione, termine coniato dal filosofo tedesco Edmund Husserl, che ha trasformato l’Europa, negli ultimi decenni, nella società più pacifica e libera della nostra storia.
La lezione si chiude con la citazione di un altro scrittore, Alberto Savinio, che sottolineava come, prima o poi, presto o tardi, nonostante tutto e a dispetto di tutto, un’Europa unità avrebbe visto la sua alba: “Tale è la follia degli uomini e la loro stupidità che forse ci vorrà una terza guerra, anche più disastrosa delle precedenti, per chiarire nel cervello degli europei la necessità dell’unione. Ma forse no. Certo è che nessun uomo, nessuna potenza potrà riuscirci. Solo un’idea potrà fare l’Europa, quella della comunità sociale”.