AGI - “Siamo conchiglie, siamo sabbia, siamo polvere e la polvere porta con se tutto e tutto riporta. Amatevi, vivetevi, e leggete sul mio braccio i vostri sogni: non smettete mai di cercare, tutto il bene e tutto il male del mondo”…
Quando si chiude il libro di Carola Carulli, “Tutto il bene, tutto il male” pubblicato con Salani, si ha l’impressione di aver camminato sulla sabbia, ascoltato il rumore del mare, corso a perdifiato verso un obiettivo, verso la vita e tutto il bello o il brutto che offre.
La giornalista e conduttrice del Tg2 ha scritto un romanzo, il primo della sua carriera di scrittrice, delicato e graffiante al tempo stesso, un libro che parla alle donne e agli uomini e racconta di complicità, separazioni, distanze ma anche di cani che sono il simbolo dell’amore incondizionato, di acqua salata, albe e tramonti.
E in tutto questo insieme di emozioni, trova spazio quel dono incredibile che è l’amicizia a volte anche più importante dell’amore. “Tutto il bene tutto il male” è un romanzo incentrato sul potere dei legami familiari che si incastrano e sostituiscono l’uno con l’altro per sopperire a mancanze, e sul perdono, ma soprattutto sulla libertà di vivere a modo proprio, senza paura del giudizio altrui.
Un libro che esalta l’amicizia al femminile che nonostante tutti i luoghi comuni in proposito, è invece possibile nonostante l’incredibile capacità che abbiano le donne di ferirsi salvo poi prontamente aiutarsi.
In una conversazione con l’AGI, l’autrice parla del suo libro, nato da un’idea balenata anni fa e poi ripresa con la complicità del lockdown: “Il titolo spiega bene il centro del romanzo: ‘tutto il bene tutto e il male che ci possono dare e fare le famiglie, soprattutto quelle che non ci scegliamo ma che ci capitano e che possiamo poi capire e perdonare per non permettere a nessuno di toglierci la libertà di essere quello che vogliamo e vivere la vita – spiega Carulli –. Nel romanzo c’è una voce narrante di donna che ha solo 20 anni, si chiama Seva che ha una zia strampalata, diversa dal solito, amata profondamente. Una zia che si sostituisce a sua madre, figura materna che bada solo alle apparenze, e che ha cresciuto una figlia con delle mancanze”.
Quelle del romanzo sono donne che rappresentano tutte le facce di un cubo, che si integrano l’una con l’altra, “si – prosegue Carulli - perché una appartiene all’altra, fra loro riconoscono le mancanze e si ricostruiscono per rinascere con una pelle nuova. Ma in questa costruzione non mancano gli uomini. Troviamo il padre di Sveva che è un narciso per eccellenza, quello di Alma che invece cresce la figlia completamente da solo dandole amore, costruendo in lei una donna nuova. Una donna che suo padre aiuta a comprendere come la felicità dipenda solo da se stessi. Alma, la bizzarra zia di Sveva appunto, è una donna che ha sofferto moltissimo e suo padre l’aiuta a diventare una donna nuova, rivoluzionaria, indipendente non solo dal punto di vista economico da cui gran parte della libertà deriva ma anche e soprattutto, di testa. E non è poco se confrontata con la madre di Seva attaccata invece alla dipendenza economica del marito”.
È un libro sui legami familiari che condizionano la vita ma da cui emerge l’importanza della famiglia: “che non è solo quella biologica - sottolinea l’autrice - ma può essere anche altro”. E anche sulla maternità: ”Racconto la maternità a 360 gradi. Non si diventa madri solo con il legame di sangue perché una mamma può essere una zia,una amica,una persona che hai conosciuto e ti aiuta”.
L’empatia a volte è tutto. "L’empatia – spiega Carulli – è il motore, ti aiuta a capire l’altro. Alma è una persona che apre il proprio cuore verso l’altro, riconosce le sue ferite e quelle degli altri, fa nascere altro dalle ferite e non si chiude. È sensitiva, dote che eredita da una bisnonna. Il sensitivo per me, è quello che ascolta gli altri. Alma ascolta gli altri e gli oggetti che scova nei mercatini dell’usato. Oggetti che hanno una storia che lei sente. E questo è un modo di dare amore”.
Leggendo si toccano anche temi abbastanza delicati, come il momento in cui da figli, che non si smette mai di essere, si finisce per diventare genitore dei propri genitori:
“Esattamente, questo perché fra madri o padri e figli - sottolinea ancora - c’è una trasfusione continua di sangue reciproco. Nel libro incontriamo uomini giovani che diventano anziani e che sono figli dei loro figli. La stessa Alma diventa madre di suo padre.
C’è da dire che la gratitudine nelle famiglie è fondamentale, anche se non è poi così scontata. Ma i figli sono delle code che ci portiamo dentro tutta la vita e sui quali abbiamo responsabilità per sempre”, l’invito quindi è a cercare di ricucire, aggiustare quello che si è rotto, ma anche a perdonare laddove però, il perdono sia di tipo educativo: “Certamente – sottolinea la scrittrice – nel romanzo ad esempio, il padre di Alma non condanna sua moglie, cerca di ricostruire conservando il buono, guardando le cose da prospettive diverse. Il perdono è una sorta di reazione a catena. È un continuo perdonarsi perché l’obiettivo è cercare la felicità”.
Ma ci vuole coraggio anche ad essere felici, “perché questa felicità potrebbe anche durare poco ma in ogni caso esiste, c’è. Si è felici quando adotti un cane dal canile e lo salvi, come fa Alma, quando ti prendi cura degli altri e cosi, inconsapevolmente, ti curi. I legami con la famiglia si possono sempre aggiustare, l’invito è quello di imparare a convivere con le difficoltà che si possono trovare negli affetti di base, a comprendere i limiti della propria famiglia, se ce ne sono” .
Quindi bisogna prendere “Tutto il bene e tutto il male”, “attraversare il dolore, camminare sui vetri rotti e in mezzo al bene e al male trovare il percorso del perdono e del cambiamento”.
Il senso del bello della vita e della libertà è racchiuso soprattutto in una lettera che Alma scrive a sua figlia, una lettera che tutte le figlie vorrebbero avere dalla madre al momento del distacco: “Si, in quel passo – racconta Carulli - Alma regala la libertà e la vita a sua figlia e sua nipote, le invita a tener presente che la felicità non deve dipendere da altri e che la vera libertà arriva quando non ti importa più di quello che dice l’altro. L’importante, è non aver paure di essere quello che si è. Il mondo rischia di impedirtelo ogni giorno. Le paure sono tante, ma bisogna scavarci dentro e non impedire di andare oltre. Ho scelto di dedicare questo romanzo a mio padre che mi ha insegnato tutto, e a mia figlia, come se la lettera di Alma fosse un po' per lei. Se mi ritrovo in qualcuno dei personaggi? Beh, in ognuna forse c’è qualche pezzo di me”.
Un film? “Mi piacerebbe tantissimo, inutile negarlo – conclude l’autrice – e come attrice protagonista, nel ruolo di Alma, vedo bene Kasia Smutniak, una donna intelligente, che ha sofferto ma si è rialzata. E poi ha un viso espressivo molto bello, occhi profondi. Andrebbe benissimo”.