Algoritmi, percezioni alterate, social network: il mondo non è come lo vediamo, ma come ci viene mostrato. E la scelta non è casuale, ma dettata da stringhe di codice che cercano di capire a cosa l’utente è interessato in modo da tenerlo quanto più tempo possibile in rete. Mathew Ingram, capo tecnico del Columbia Journalism Review, è stato tra i primi giornalisti al mondo a seguire questo tema, fin dall’epoca dell’open web.
C’erano i “feed rss”, con i quali un utente poteva monitorare tutto ciò che viene pubblicato su un sito, una sorta di versione ancestrale della timeline di Facebook. Ma all’epoca nessun computer sceglieva al posto del lettore, come avviene oggi. Questa è la storia che Ingram ha raccontato al Festival internazionale del giornalismo di Perugia, in un incontro intitolato ‘Le nostre vite definite dagli algoritmi e cosa questo significherà per i media’. Ma quindi, se togliessimo gli algoritmi da Facebook, si tornerebbe ai vecchi feed rss e si eviterebbe di essere condizionati dalle scelte delle aziende tecnologiche? “In teoria sì, ma il problema è un altro: Facebook esiste, e non possiamo ‘disinventarlo’”, ha spiegato af Agi Ingram.
Per quale ragione?
"Perché si basa sul nostro bisogno di like, che è qualcosa che ci caratterizza come esseri umani. Quindi, sì: probabilmente si potrebbe tornare anche ai feed, ma il pregio dell’algoritmo è che di quel caos di informazioni ha tirato fuori un prodotto strutturato, attento alle nostre esigenze".
Come spiegare gli algoritmi alla società civile?
"Non è facile, e non siamo in grado di capire neanche come funzionino realmente. Eppure sono lì, e quando acquisti un biglietto aereo e ti vengono mostrate scelte diverse se fai il login o meno, quello è un esempio per capire come questo condizioni le nostre vite. Sta ai giornalisti di trovare modi semplici".
E ai giornali?
"Anche i giornali usano gli algoritmi per indirizzare meglio i propri contenuti e intercettare gli interessi dei lettori. Non c’è nulla di male nel fare questo, purché il processo sia trasparente e spiegato chiaramente al lettore".
È stato chiesto a Zuckerberg se sarebbe disponibile a sostenere una regola ispirata alla Normativa europea sul trattamento dei dati anche negli Stati Uniti, ma lui è stato elusivo. Come mai?
"Sta probabilmente a portare avanti Facebook in una posizione di forza nelle trattative per una regolamentazione quanto più possibile condivisa con le grandi aziende di settore. E dall’altra le stesse istituzioni si rivolgono a loro per chiedere aiuto: era evidente che non la loro comprensione fosse abbastanza superficiale".