Una manovra a tenaglia. Una macchina investigativa implacabile che si è stretta attorno al 'fantasma' di Castelvetrano, Matteo Messina Denaro, latitante da 24 anni. I quattordici fedelissimi presi mercoledì 10 maggio in provincia di Trapani nell'operazione "Visir", sono descritti dai carabinieri come l'ulteriore tappa di un'attività febbrile sviluppata dal Ros, con il coordinamento della Procura di Palermo, che ha già consentito dal 2009 l'esecuzione di 61 provvedimenti cautelari a carico della rete dei fiancheggiatori più stretti del superlatitante. Una parte sostanziosa del progressivo accerchiamento operato da tutte le forze dell'ordine, Arma, polizia di Stato e Guardia di finanza.
In questi otto anni a ogni blitz si è parlato di "terra bruciata" e di "cerchio che si stringe", così stretto da essere divenuto ormai un cappio. Una manovra travolgente quella delle forze dell'ordine che non ha risparmiato la famiglia, cuore del sistema di protezione di Messina Denaro e dei suoi interessi, dall'agroalimentare all'energia pulita passando per l'edilizia, nè l'ingentissimo patrimonio. In manette sono finiti fratelli, cognati, nipoti, cugini; ma anche manager, professionisti, detentori delle chiavi del tesoro e degli affari dell'erede di Totò Riina. Così, anche il suo territorio non è più il fortino di un tempo.
Il patrimonio del 'fantasma' nel mirino
È interessante ricostruire alcune tappe di questo inesorabile processo di avvicinamento al boss. Il 2009, si è detto. Il 16 giugno di quell'anno ecco 13 arresti tra le province di Trapani, Palermo, Roma e Piacenza, con sequestri di aziende e capitali: è l'operazione "Golem", che ha messo un punto al giro di estorsioni e traffico di droga utilizzato anche per finanziare la costosa latitanza.
Aggressione all'esercito mafioso, ma anche ai patrimoni: risale al 27 gennaio 2010 dello stesso anno il sequestro di beni per 550 milioni al cassiere di Messina Denaro, Rosario Cascio, a capo di una vera holding mafiosa, comprendente anche 15 ditte, 200 terreni, 90 fabbricati e 120 veicoli. Il 15 marzo 2010 viene smantellato un altro pezzo significativo della rete di protezione e dei 'postini' con l'esecuzione di 19 fermi: elementi di spicco del mandamento mafioso, compreso il fratello del latitante, Salvatore, e il cugino Giovanni Filardo. Per il ministro dell'Interno del tempo, Roberto Maroni, "siamo vicini all'arresto di Messina Denaro".
Il patto di ferro tra Cosa Nostra e Camorra
Il 10 maggio scoperto un patto di ferro tra Camorra e Cosa nostra per trasportare a prezzi imposti e in regime di monopolio l'ortofrutta siciliana al mercato di Fondi, a Latina, uno dei più importanti centri di smistamento in Europa: tra gli arrestati due imprenditori legati al latitante. Il 20 gennaio 2011 arriva il sequestro di 22 milioni a uomini di Messina Denaro in Calabria, tra cui il cugino Mario.È il 16 dicembre di questo stesso anno quando scatta l'ulteriore stretta: 11 arresti, tra cui l'allora sindaco di un centro della provincia di Trapani. "La rete di protezione è ancora ampia", avverte però l'allora capo della Procura di Palermo Francesco Messineo. Ma nel settembre 2013 il Viminale in Parlamento definisce "indiscussa" la leadership di Messina Denaro. Il 24 di quel mese durissimo colpo al suo tesoro con la confisca dell'impero da 700 milioni all'ex re dei supermercati Giuseppe Grigoli, ritenuto a lui legatissimo.
La famiglia del boss, "motore della latitanza"
Si fa incalzante la caccia e il 13 dicembre 2013 altri 30 arresti e fra questi c'è la sorella Anna Patrizia, due anni più tardi condannata a 13 anni in primo grado e in appello, nel 2015, a 14 anni e mezzo, per estorsione e favoreggiamento, quale regista della rete di protezione e comunicazione, detentrice di un "ruolo funzionale" all'interno della cosca di Castelvetrano; detenuto da tempo il marito Vincenzo Panicola. La famiglia del resto, ha detto il procuratore aggiunto Teresa Principato, "è il motore della lunga latitanza", ma esistono anche "protezioni di alto livello".
Il 19 novembre 2014 altri in manette 16 affiliati al clan del Trapanese nel blitz che conferma gli interessi economici diversificati e i legami con le cosche di Palermo, soprattutto con il mandamento di Brancaccio. Il 6 luglio 2015 le manette toccano a Gaspare Como, commerciante di Castelvetrano, cognato del boss. Il 3 agosto stessa sorte, nell'operazione" Ermes", di undici esponenti di vertici dei clan trapanesi, con un ulteriore colpo al 'centro di smistamento' dei pizzini e a un personaggio di spessore come Vito Gondola, storico capomafia di Mazara del Vallo. Dopo la bollente estate, il 13 ottobre e' condannato a 12 anni Filardo; il 16 novembre un anno e mezzo di carcere e' inflitto a un'altra sorella di Messina Denaro, Bice, per intestazione fittizia, 3 anni e mezzo al marito Gaspare Como.
La mano sugli appalti
Affari e cemento all'ombra del capomafia e il 30 marzo 2016 cinque arresti ad Alcamo nel blitz denominato "Cemento del Golfo", per frode in pubbliche forniture ed estorsioni. L'1 aprile 7 arrestati in provincia di Agrigento in collegamento sempre con 'lui'. Il 14 dicembre e' tempo dell'operazione "Ebano" che colpisce diversi imprenditori e un vasto giro di appalti truccati per finanziare Messina Denaro. Il 3 novembre 2016 è la volta di Domenico Scimonelli, imprenditore della grande distribuzione, ritenuto la principale fonte di liquidita' del capomafia. Il 20 dicembre undici arresti nell'operazione "Ermes 2", con il sequestro di tre imprese edili inserite anche nella realizzazione del parco eolico di Marsala e nella ristrutturazione del locale ospedale. Il 21 febbraio decapitata la cosca di Alcamo con l'arresto del boss di Alcamo Ignazio Melodia e di altri cinque affiliati nell'operazione "Freezer": i summit si svolgevano in una cella frigo. Mercoledì 10 maggio 2017 altri 14 fermi. La caccia non si ferma.