Una "lunghissima serie" di telefonate effettuate dall'ufficio verso numeri di servizi a pagamento, senza alcuna attinenza con "esigenze" di lavoro, e costate all'azienda oltre 8mila euro. Per questi fatti, la sezione lavoro della Cassazione ha confermato il licenziamento per "giustificato motivo soggettivo" di un dipendente della Telecom, che si tratteneva oltre l'orario di lavoro, o arrivava in ufficio prima delle 8, per telefonare utilizzando la linea dedicata al fax del reparto a cui era addetto. Per difendersi, l'uomo aveva detto di essere depresso (attribuendo anche al datore di lavoro il suo stato di "sofferenza psicologica") e che quelle telefonate erano dovute alla "necessità di sentire voci amiche anche in momenti difficili della giornata". Il licenziamento, che aveva avuto già il 'via libera' dei giudici del merito (Tribunale e Corte appello di Roma), dopo la sentenza depositata oggi, è dunque definitivo: la Suprema Corte ha ritenuto "congrua e logicamente coerente" la decisione dei giudici di secondo grado. "Anche se si ammettesse" che il dipendente "all'epoca fosse affetto da depressione, nulla gli avrebbe impedito di ricorrere alle cure del caso" e "anche una situazione di particolare fragilità psichica del lavoratore, per mera ipotesi argomentativa ascrivibile al datore di lavoro, non legittimerebbe comportamenti come quelli contestati e cioè l'indebito uso di mezzi aziendali come il telefono per fini propri e con grave danno economico del datore di lavoro, la cui contrarietà alla correttezza e buona fede è intuitiva".