Il canto dissonante di Veronica Panarello, in “Ti regalerò una rosa”, di Simone Cristicchi, racconta in chiave simbolica, i volti poliedrici di una storia troppo nera.
Una grafia affollata con poco respiro, riempie ed occupa alla meno peggio ogni spazio di vita di Veronica. Solitudine d’infante che urla muta tra la folla. Solitudine giovanile che lacera e ricuce brandelli. Solitudine di donna che si spezza e paga. “La mia patologia è che son rimasto solo…”
Grafia poco personalizzata dalle linee essenziali, di chi ha vissuto in ambiente familiare disarmonico, il proprio percorso evolutivo di crescita. Buche ed inciampi. Tumefazioni dell’anima. Nuclei di dolore che rilevano accumuli di inchiostro, lungo tutto il tratto grafico. Soste, dove si posa china l’anima stanca e claudicante. La sua scrittura incalzante, che avanza senza sosta, non trova l’humus adatto per nuove fioriture di sé.
Un soliloquio prepotente a tratti impositivo, che non conosce e riconosce le regole del gioco con cui riesce ugualmente ad interagire in una dimensione personalizzata, dove alterna gioia e fatica, speranza e delusione. Le cadute di calibro, in una dimensione di variabilità grafica, ci parlano di quel respiro, espresso un po’ a pieni polmoni, e un po’ in un'apnea silenziosa, aspettando che passi anche stavolta.
Una struttura complessa che ritorna nuovamente in equilibrio e che si rimodula nel mondo. Il sali e scendi della scrittura, ci mostra l’impegno e la volontà di Veronica di farcela, di darsi una nuova spinta. Il rigo di scrittura rispettato fedelmente dalla scrivente, sostiene e supporta l’andirivieni grafico, della sua storia faticosa, fatta di dentro e fuori, di panni stesi al sole e di note appetitose del ragù della domenica.
Fra un lettera e l’altra manca l’aria tersa e pulita, di un nuovo mattino. L’aria ferma s’insinua fra le lettere e parole, che indicano poca distanza fra lei e gli altri. Fiducia troppo spesso concessa senza filtri né riserve, per quel maledetto ed imponente bisogno d’amore e protezione.