Il Sole emette energia sotto forma di radiazione e di particelle accelerate. È quello che gli astrofisici chiamano vento solare ed è un flusso di energia che si irradia a riempire lo spazio interplanetario. È una bolla che determina la zone di influenza del Sole nella quale noi siamo immersi. Ovviamente, sapevamo dell’esistenza di questa struttura, che è molto importante nell’economia energetica del sistema solare, ma non eravamo sicuri delle sue dimensioni.
Adesso abbiamo qualche informazione in più perché il 5 novembre scorso, dopo 41 anni di viaggio, la sonda NASA Voyager 2 ha oltrepassato i confini della bolla ed è uscita dalla zone di dominio energetico del vento solare. Se ne sono accorti i controllori della sonda al Jet Propulsion Laboratory che hanno visto scomparire il segnale delle particelle di origine solare mentre cresceva quello dei raggi cosmici che vengono dalla galassia. Il passaggio dal dentro al fuori della bolla solare è stato abbastanza rapido, al contrario di quanto era successo nel 2012 per il gemello Voyager 1 che si aveva messo mesi ad uscire.
Come si vede nella figura che schematizza la bolla energetica creata dal Sole, la geometria è complicata dal moto del Sole intorno al centro della Galassia. Questo crea una specie di onda di prua galattica dovuta al moto del Sole nello spazio interstellare che, benché molto rarefatto, non è vuoto ma ha un suo contenuto di materia e di energia.
Quando la pressione esercitata dal vento solare (che diminuisce man mano che la bolla si espande lontano dal Sole) diventa uguale a quella dell’ambiente circostante si forma un’onda d’urto che determina il confine tra il dentro ed il fuori della zona d’influenza del Sole. Non siamo ancora fuori dal sistema solare. Voyager 1 è a 21 miliardi di km da noi mentre Voyager 2 è a 18 e ci vorranno ancora centinaia di anni perché le due sonde arrivino alla nube di Oort, il serbatoio gelido dove sono parcheggiate le comete del sistema solare, e ci vorranno altre migliaia di anni ad attraversarlo.
Una missione di esplorazione
Partite , il 20 agosto ed il 7 settembre 1977, sono dei dinosauri della tecnologia spaziale, ma continuano disciplinatamente ad inviare i dati che raccolgono man mano che si allontanano sempre più dalla Terra. L’idea di una missione di esplorazione così grandiosa e visionaria è nata nel 1965 dalla fertile mente del giovane Gary Flandro che lavorava part-time al Jet Propulsion Laboratory. Calcolando e disegnando, a mano, la posizione dei pianeti esterni (Giove, Saturno, Urano e Nettuno), si rese conto che si stava per verificare un allineamento dei quattro giganti gassosi, un’eventualità che si presenta una volta ogni 175 anni.
Le sonde andranno in pensione tra 9 anni
Dotate di un generatore nucleare al Plutonio, le sonde continuano a lavorare e a mandare a casa le manciate di bit che riescono a spedire con l’energia disponibile che dovrebbe permettere di mantenere i collegamenti fino alla festa del mezzo secolo, tra 9 anni. Al JPL, tutti i protagonisti delle missioni Voyager sono andati in pensione con l’eccezione del Project Scientist Ed Stone che, ultraottantenne, non ha nessuna intenzione di mollare: le sue sonde sono in un territorio inesplorato ed i dati che raccolgono sono sempre più preziosi.
Non passa giorno senza che le antenne del Deep Space Network della NASA non ascoltino le due veterane dello spazio. Vedere per credere. Questa è la situazione adesso, mentre scrivo (15 dicembre ore 12:28).
La grande antenna di Camberra (in Australia) sta ricevendo proprio i dati di Voyager 2 (VGR2). Sono 160 bit al secondo, ma stanno facendo la storia.