Immortalità. Non è solo un allungare il tempo della nostra presenza su questo pianeta o consegnare i nostri geni alle generazioni future. È anche continuare a vivere nel ricordo di chi viene dopo di noi, nei suoi affetti. Immortalità è lasciare una traccia incancellabile di ciò che si è fatto nella nostra pur breve esistenza terrena, in qualsiasi campo. È continuare a essere ricordati. Per sempre... Musica, Arte, Letteratura, Scienze...
Mai come nell’assegnazione del Premio Nobel per la Fisica di quest’anno, si è avvertito forte il profumo di questa aura di immortalità. Perché, ancora una volta, viene di fatto celebrato il pensiero di un uomo, di un vero gigante del sapere scientifico: Albert Einstein.
Sembra quasi una nemesi storica: il grande genio fu insignito del Premio Nobel nel 1921 per la scoperta di un effetto legato a processi quantistici (nascente branca della fisica per la quale egli manifestava peraltro un atteggiamento abbastanza critico) e non per una delle più grandi sintesi prodotte dal pensiero umano, la sua teoria della relatività. E adesso, a distanza di un secolo, coloro che hanno firmato la più straordinaria scoperta scientifica di questi anni, hanno glorificato l’immortalità del grande scienziato. È una grande rivincita.
Una meravigliosa teoria elaborata dalla mente di Einstein
Perché le onde gravitazionali, scoperte sperimentalmente poco meno di due anni fa, sono figlie della meravigliosa teoria elaborata dalla sua mente. Da un’unica mente. Sono il frutto della sua immaginazione. Thorne, Weiss e Barish, gli scienziati vincitori, ritireranno un premio che simbolicamente rimanda a quel percorso storico, forse rimettendo le cose a posto e rendendo alla fine giustizia alla sua memoria.
Ormai tutti sanno di cosa stiamo parlando. Delle onde gravitazionali abbiamo detto proprio in queste pagine. Forse non nei dettagli tecnici ma tanti adesso sanno che lo spaziotempo nel quale tutto è immerso è una struttura che avverte la massa dei corpi, che si modella deformandosi e che si increspa come un mare quando colossali catastrofi cosmiche prodotte da oggetti dotati di massa elevata producono vibrazioni tali da essere trasmesse in questo tessuto inafferrabile alla velocità della luce, fino a raggiungere i nostri lidi, le rive di un altro mare.
È un’altra prova, forse quella conclusiva, della validità di quella teoria dotata di grande bellezza ed eleganza. Essa descrive lo strano moto dell’orbita di Mercurio attorno al sole (che la gravitazione newtoniana non riusciva a spiegare), chiamato “a rosetta”, con la lenta rotazione del piano orbitale del pianeta; predice l’incurvamento indotto dalla deformazione dello spaziotempo nella traiettoria della luce che passa accanto a oggetti massivi, verificato nel 1919 da Eddington durante un’eclisse di sole totale.
Anche i moderni satelliti GPS devono tener conto degli effetti relativistici. Il tempo su un satellite scorre più lentamente rispetto a quello terrestre per effetto della dilatazione dei tempi prevista dalla relatività ristretta (per via della sola velocità del satellite). L’effetto indotto dalle deformazioni spaziotemporali descritte dalla relatività generale – che è la moderna teoria della gravitazione – genera il medesimo effetto di differenza nella misura dei tempi ma di segno opposto rispetto al precedente e in modo ancora più marcato.
Una discrepanza infinitesima tra gli orologi dei satelliti e quelli che usiamo sulla terra potrebbe quindi produrre un errore considerevole nella determinazione della posizione sulla superficie terrestre, anche di oltre dieci chilometri se essa non fosse presa in considerazione. Un errore che peraltro continuerebbe a crescere col passare del tempo.
100 anni di teoria della gravitazione
Dalla prima verifica della nuova teoria della gravitazione, nel 1919, fino alla scoperta delle previste onde gravitazionali, nel 2016, sono trascorsi quasi cento anni. E in tutto questo tempo, il pensiero prodotto dalla sola mente del grande scienziato è stato messo alla prova in moltissimi laboratori sparsi nel pianeta. È addirittura nata una nuova astronomia, l’astronomia gravitazionale, che non usa la banda ottica dello spettro elettromagnetico (telescopi), né quella delle onde radio (radiotelescopi).
Una astronomia che ci porterà in casa invece le onde spaziotemporali di mari lontanissimi, onde che trasporteranno informazioni provenienti da distanze incalcolabili, che attraverseranno in lungo e in largo l’universo, che noi abbiamo raccolto e che continueremo a interpretare. Einstein ci ha regalato un modo di arrivare alla conoscenza leggendo i messaggi trasportati da quelle onde, quasi potessimo raccogliere bottiglie che galleggiano nei mari che ci circondano per leggere ciò che è scritto nei biglietti che esse proteggono. E per la conquista del sapere, sarà comunque dolce naufragar in questo mare.