Oltre sessanta miliardi di neutrini attraversano ogni centimetro quadrato del nostro corpo ogni secondo, per fortuna senza lasciare traccia del loro passaggio. Lo stesso corpo umano, che al suo interno ospita circa venti milligrammi di un elemento chimico radioattivo, il potassio 40 (noi siamo “naturalmente radioattivi”, piaccia o no) emette neutrini, al ritmo di circa quattromila al secondo, che affollano l’universo assieme a una quantità innumerabile di altri neutrini.
Cos'è un neutrino
Cos’è un neutrino? Una particella leggera e inafferrabile, priva di carica, che interagisce pochissimo con la materia, prevista dalla teoria nel 1930 e poi effettivamente scoperta nel 1956. Buona parte della ricerca attuale si interroga e si concentra sul valore della sua massa. Essa potrebbe essere ben oltre un milione di volte più leggera di quella degli elettroni che ruotano attorno al nucleo dell’atomo, composto da protoni e neutroni i quali a loro volta pesano circa duemila volte più degli elettroni. Il neutrino insomma è una particella “eterea”, per la quale l’universo deve apparire come una distesa tristemente vuota, visto che essa interagisce, come si diceva, molto debolmente con la materia. Tant’è che per sperare di individuarla tramite opportuni rivelatori è necessario che questi ultimi siano davvero enormi, dotati cioè di grande massa, affinché la probabilità che avvenga una o più interazioni con l’enorme flusso di queste particelle entranti possa crescere sensibilmente.
Un risultato estremamente importante
Presso il laboratori nazionali di Oak Ridge si è però ottenuto di recente un risultato estremamente importante, come descritto nell’articolo pubblicato il 3 agosto scorso sulla rivista Science (Observation of coherent elastic neutrino-nucleus scattering ‒ D. Akimov. J. B. Albert, P. An, et al.), tramite la Collaborazione COHERENT. In questa esperienza, si è potuto utilizzare un rivelatore di poco meno di quindici chilogrammi (contro quelli generalmente utilizzati, pesanti centinaia e centinaia di tonnellate) posto a una distanza di appena una ventina di metri dalla sorgente dei neutrini che sono stati prodotti mediante una “sorgente di spallazione”. Di cosa si tratta? Si potrebbe dire che colpendo con particelle pesanti (come i protoni) ‒ dotate di energia molto elevata ‒ un bersaglio opportuno (come ad esempio il mercurio) si darebbe una sorta di “spallata” ai nuclei che compongono il bersaglio in modo che ogni protone utilizzato come proiettile possa far “schizzare” fuori dal bersaglio dai venti ai trenta neutroni. E, assieme a questi, pure i neutrini. Anche un reattore nucleare potrebbe essere utilizzato come sorgente di neutroni (e di neutrini), vista la grande densità di questi ultimi in essi presenti, ma il vantaggio della sorgente di spallazione è nella possibilità di avere flussi di neutroni (e di neutrini) in modo “impulsato”, cioè a “pacchetti”, utili in esperimenti di questo tipo.
La materia oscura che permea l'universo
In cosa consiste dunque questa esperienza? Nel fenomeno della cosiddetta “diffusione elastica coerente” osservata nell’interazione dei neutrini non con i singoli componenti del nucleo (protoni e neutroni), come ci si aspetterebbe, bensì direttamente con il nucleo nel suo complesso. È questo l’aspetto importante di tale prova sperimentale, la prima mai ottenuta. Un risultato quindi eccezionale che potrebbe aprire le porte allo studio dell’interazione dei neutrini con la materia cosmica in conseguenza delle immani esplosioni stellari (supernove) e anche di individuare forse lo sfuggente fantasma della materia oscura che permea l’intero universo in proporzione molto più elevata rispetto a quella che conosciamo e di cui siamo fatti noi stessi.
Come una balla da biliardo
Se questo può sembrare un discorso complicato, posso tranquillizzare affermando che coloro che giocano al biliardo sarebbero degli ottimi... fisici delle particelle! Già, perché forse senza rendersene conto, su quel tavolo sperimentano due principi cardine della fisica: la conservazione della quantità di moto e la conservazione dell’energia, tra la situazione prima dell’urto e quella prodottasi dopo l’urto. Ogni palla da biliardo ha una massa ed è dotata di una velocità (nulla in caso stia ferma). Bene. Il prodotto della massa m per la sua velocità di spostamento v è chiamato “quantità di moto”. La metà del prodotto fra la massa m e il quadrato della sua velocità v è chiamata “energia (di moto o cinetica)”. Fra le situazioni prima e dopo l’urto, queste grandezze devono rimanere costanti, perché gli urti di cui stiamo parlando vengono definiti “elastici”. Un caso di urto non elastico (“anelastico”) potrebbe essere rappresentato da quello malaugurato in cui un’auto sia costretta a fermare la propria velocità contro un muro scaricando su di esso tutta l’energia cinetica di cui era dotata prima dell’impatto.
Questi esempi già potrebbero essere utilizzati per comprendere, con una certa approssimazione, la presenza del termine “elastico” nella definizione data prima di “diffusione elastica”. Se sul panno verde viene colpito un insieme di biglie, si osserverà che queste ultime si “diffonderanno” sul piano mediante traiettorie che rispetteranno i principi di conservazione prima introdotti. Il termine “diffusione” (o “scattering”), con una gratuita mia “licenza scientifica” (mi perdonino i puristi!) può dare conto dell’espressione utilizzata per descrivere l’esperimento. La “coerenza” sta nel fatto che l’energia di cui è dotato il neutrino è “sensibile” alla debole carica offerta dal nucleo nel suo complesso.
In definitiva, in questo esperimento si è cercata l’energia di risposta dell’intero nucleo atomico tramite l’interazione col neutrino. Si è trattato però di un gioco al biliardo un po’ sbilanciato, perché rilevare questa energia è stato ‒ con le debite approssimazioni e rispettando le necessarie proporzioni ‒ come misurare l’energia in risposta a un urto tra una pallina da ping pong e una da bowling (ricordando i rapporti di massa) rilevandola dalle “vibrazioni” di quest’ultima!
Sul neutrino sono stati scritti libri interi. E molto c’è ancora da scoprire. Se esso dovesse essere davvero implicato nella spiegazione della materia oscura nell’universo, si avrebbe ancor più la sensazione che fra l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande ci sia un legame più che stretto, anche se stiamo parlando di un oggetto con massa praticamente trascurabile. Ma, come disse qualcuno con grande acume scientifico, in fondo... “è la somma che fa il totale”!