I neutrini, insieme ai fotoni, sono le particelle più diffuse nell’universo, almeno in quello di materia conosciuta: sono circa un miliardo di volte più numerosi dei protoni e dei neutroni di tutte le stelle. Eppure sono stati definiti “la cosa più vicina al niente che esista”. Elusivi come fantasmi, privi di carica elettrica, interagiscono pochissimo con ciò che incontrano sul loro cammino e si divertono a ingannare i loro osservatori trasformandosi tra uno e l‘altro dei tre tipi o “sapori” in cui si manifestano.
Ettore Majorana e il neutrino
Sono tante le cose ancora da scoprire sulla loro natura, tra cui c’è da chiarire se nel loro caso particelle e antiparticelle coincidano, cioè se neutrini e antineutrini siano manifestazioni della stessa particella, come le due facce di una stessa moneta. Questa ipotesi è stata avanzata, in un famoso articolo pubblicato nel 1937, dal fisico italiano Ettore Majorana, uno dei “ragazzi di via Panisperna”, scomparso in circostanze misteriose dopo essersi imbarcato su una nave da Palermo a Napoli.
Come scoprirlo
Sappiamo che in natura esiste il raro processo di decadimento doppio beta di alcuni nuclei in cui due neutroni si trasformano in protoni emettendo due elettroni e due antineutrini. Se i neutrini fossero particelle di tipo Majorana, potrebbe anche verificarsi il fenomeno del decadimento doppio beta senza neutrino, in cui si assiste all’emissione di solo due elettroni.
Questo processo di transizione tra materia e antimateria viola però le regole del Modello Standard, sarebbe in ogni caso rarissimo, e finora non è mai stato osservato.
Se tuttavia fosse avvenuto con sufficiente frequenza nell’universo immediatamente dopo il Big Bang, potrebbe aver contribuito alla prevalenza della materia sull’antimateria. Per quel che sappiamo oggi, infatti, non ci sono nell’universo galassie di antimateria; viceversa, all’inizio di tutto, materia e antimateria sono state prodotte in quantità perfettamente uguali. Qualche processo dunque deve avere leggermente favorito l’una rispetto all’altra e, l’universo, di cui noi oggi siamo parte, è il residuo della parte eccedente, mentre tutto il resto si è annichilito in fotoni.
L’esperimento CUORE
Per osservare un decadimento così raro occorre utilizzare degli apparati sperimentali di grande massa, sostanzialmente privi di “rumore” interno, a bassissimo contenuto di radioattività, posti in laboratori sotterranei al riparo dalla pioggia incessante dei raggi cosmici presente nell’atmosfera.
L’ultimo arrivato, inaugurato il 23 ottobre, ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso (LNGS) dell’INFN è l’esperimento CUORE (Cryogenic Underground Observatory for Rare Events). E’ costituito da 988 cristalli di ossido di tellurio, peso 741 chili, tenuti a -273,144 gradi centigradi, una temperatura vicinissima allo zero assoluto pari a -273,15.
A ragione CUORE è stato definito il metro cubo più freddo dell’universo.
Il rivelatore interno è protetto dalla radioattività naturale della roccia del Gran Sasso da schermi di piombo, per il più interno dei quali sono stati utilizzati, con l’accordo della Soprintendenza Archeologica di Cagliari, centinaia di lingotti di piombo antico recuperati da una nave oneraria romana affondata nel I secolo a.C. vicino a Oristano.
Il motivo è semplice. Il piombo in natura contiene sempre una percentuale di un isotopo radioattivo generato dal decadimento dell’Uranio-238. I romani che avevano separato l’argento dal piombo hanno anche inconsapevolmente estratto l’uranio producendo quindi dei lingotti che dopo 2000 anni hanno un contenuto eccezionalmente basso di radioattività, appropriati per schermare CUORE.
CUORE è in funzione da appena due mesi ma ha già dimostrato di funzionare secondo le attese. Nei prossimi anni continuerà la sua attività insieme all’altro esperimento GERDA dei LNGS per cercare di chiarire la natura di Majorana del misterioso neutrino.