Nel 1962, Max Perutz e John Kendrew vinsero il Premio Nobel per la Chimica, per aver determinato la prima struttura atomica di una proteina: la mioglobina. La capacità di risolvere la struttura delle proteine ha consentito scoperte di enorme importanza, a partire dalla risoluzione della doppia elica del DNA da parte di James Watson e Francis Crick e ha fruttato oltre una dozzina di Premi Nobel in questo ultimo mezzo secolo. Oggi, altri tre scienziati, Jaques Dubochet dell'Università di Losanna in Svizzera, Joachim Frank della Columbia University di New York e Richard Henderson del Medical Research Council di Cambridge, hanno vinto il Premio Nobel per la Chimica 2017 per una tecnica in grado di risolvere la struttura delle proteine. Qual’è la differenza?
Le tecniche tradizionali per la risoluzione della struttura delle proteine richiedevano tre passaggi: cristallizzare la proteina, bombardare i cristalli con i raggi X, interpretare con strumenti matematici le immagini per ricavare la posizione dei singoli atomi. Il passaggio critico è quello dei cristalli. Per ottenerli è necessario usare soluzioni molto concentrate di proteina purissima che poi evaporando in opportune condizioni danno cristalli. Ma spesso le proteine non formano cristalli regolari, per cui le immagini sono "sfuocate" o disordinate. Anche se queste tecniche a raggi X sono in uso da oltre 50 anni e hanno permesso di osservare la struttura di migliaia di molecole biologiche, alcune proteine rifiutano ostinatamente di farsi vedere. Proteine molto grandi o che stanno in localizzazioni particolari come le membrane cellulari, oppure molto flessibili, per cui tendono ad assumere diverse conformazioni, non si riescono a risolvere con questa tecnica.
Esiste anche un altro strumento per osservare oggetti molto piccoli: il microscopio elettronico, inventato negli anni 30 del '900. Ma anche questo strumento è limitato: le molecole non possono essere osservate in soluzione ma solo sottovuoto e il potere di risoluzione non arriva a distinguere gli atomi. I tre vincitori del Premio Nobel di quest'anno hanno sviluppato un metodo rivoluzionario, la crio-microscopia elettronica, che consente di risolvere la struttura delle proteine al microscopio. Il trucco, e uno dei progressi premiati, sta nel congelare a bassissime temperature le molecole biologiche da osservare, catturando così la loro conformazione naturale. Accoppiando questo trattamento a rilevatori di elettroni estremamente sofisticati, la seconda delle scoperte che ha motivato del Nobel, è possibile osservare dettagli su scala molto prossima a quella ottenibile con i raggi-X. Ma dato che il congelamento può catturare le molecole in diversi orientamenti, così come "galleggiavano" in soluzione, scattando migliaia di fotografie è possibile combinarle per ottenere immagini dettagliatissime della loro struttura, spesso paragonabili a quelle ottenibili con la cristallografia a raggi-X. Per fare questo era necessario però disporre di sofisticati sistemi di elaborazione delle immagini, ed è infatti quest'ultimo il terzo contributo che è stato premiato con il Nobel.
La crio-microscopia elettronica ha reso possibile ottenere immagini impossibili da realizzare con la cristallografia. Ad esempio, combinando oltre 100.000 immagini, un gruppo di ricercatori Canadesi ha realizzato un “filmato molecolare” che mostra l'animazione del meccanismo con cui l’enzima V-ATPasi genera flussi protonici consumando ATP all'interno delle nostre cellule. Un risultato che va a braccetto con la risoluzione della struttura di interi virus, come Zika, o dell'apparato cellulare per la sintesi delle proteine, il ribosoma, o di proteine coinvolte in patologie importanti come l'Alzheimer, con ovvie ricadute nel campo della medicina.
Come diceva Camillo Golgi, Nobel per la Medicina nel 1906 per le sue investigazioni microscopiche sul tessuto nervoso: "La natura ci dà risposte via via più diverse, quando la si interroghi con strumenti via via più raffinati". La crio-EM promette di aprirci scenari nuovi e inaspettati sul mondo molecolare.
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