Profondità oceanica. Margine delle zolle tettoniche, là dove le tensioni si accumulano talvolta fino al punto di rottura. Qualcosa infatti all’improvviso si frattura e si verifica uno scorrimento istantaneo dello strato roccioso sul fondo che libera energia: si genera un terremoto. Ma il movimento repentino solleva anche la colonna d’acqua sovrastante, producendo onde sulla superficie dell’oceano che si muovono a grandissima velocità in tutte le direzioni con il loro terribile carico di distruzione quando arrivano in prossimità della costa: è lo tsunami, l’onda di maremoto.
(nella foto, la Nebulosa del Granchio, nella costellazione del Toro. L’immagine, ripresa dal telescopio Hubble, mostra i resti di una supernova che si accese nel cielo nel 1054, ancora adesso in espansione, e che risultò visibile anche di giorno. Al centro esatto della nebulosa, è possibile rintracciare ciò che resta di quella esplosione, una pulsar di circa trenta chilometri di diametro che ruota trenta volte al secondo, emettendo una faro di radiazione rintracciabile in tutta la banda elettromagnetica, quindi anche in quella ottica. La coppia binaria di stelle di neutroni candidata a essere la sorgente dell’impulso di onde gravitazionali potrebbe essere localizzata in una galassia distante oltre cento milioni di anni luce da noi. Nei prossimi giorni forse ne sapremo di più).
L'annuncio del febbraio 2016
Cosa c’entrano gli tsunami con l’argomento di cui vogliamo parlare? Assolutamente nulla, visto che hanno scale, cause ed effetti nemmeno confrontabili tra loro ma, a ben vedere, una certa analogia potrebbe aiutare nella comprensione.
Nel febbraio del 2016, fu dato l’annuncio della prima prova sperimentale delle onde gravitazionali prodotte da un’immane catastrofe cosmica, la fusione di un sistema di due buchi neri “accoppiati” in una stretta rotazione. L’evento lontanissimo ha generato una vibrazione dello spaziotempo molto simile a uno tsunami (nelle dovute proporzioni e nel relativo contesto!), raccolta da una particolare strumentazione (interferometro) utilizzante un raggio laser che percorre due bracci di uguale lunghezza (di qualche chilometro) disposti a novanta gradi l’uno rispetto all’altro, parallelamente alla superficie terrestre, in grado di cogliere infinitesime differenze nei tempi dei percorsi del raggio di luce nei due bracci, dovute a impercettibili “distensioni” o “contrazioni” di uno dei due disposto nella direzione di propagazione delle onde, quando investito da queste ultime.
Cosa sono le onde gravitazionali
I “rumors”, che a breve potrebbero rendere ufficiale una nuova scoperta in questo settore della ricerca, hanno una valenza particolare ma prima di spiegarne il motivo, cerchiamo di capire cosa siano le onde gravitazionali. Erano attese da un secolo, da quando furono predette dalla teoria generale della relatività, la nuova teoria della gravitazione che attribuisce alla massa presente nell’universo la capacità di far variare, di incurvare la geometria dello spaziotempo intorno ad essa. Lo spazio non più inteso come un sistema composto dalle sole tre dimensioni conosciute bensì allargato anche alla dimensione tempo, che per Einstein non ha più un valore “assoluto”. Bene. Intorno alle masse, lo spaziotempo si piega e più gli oggetti sono massicci, più questo si incurva, fino a chiudersi del tutto quando l’oggetto presenta massa e dimensioni tali da non far più uscire nulla, nemmeno la luce, risultando di fatto invisibile ma dotato di una fortissima attrazione gravitazionale: il buco nero.
Così come accade nel meccanismo (tutto terrestre) degli tsunami, prodotti da improvvisi sommovimenti della crosta oceanica che trasmettono all’acqua una “vibrazione” indotta, così movimenti o forti accelerazioni di grandi masse, catastrofici eventi gravitazionali, trasferiscono allo spaziotempo (da non intendersi però come un mezzo materiale!) una sorta di vibrazione sotto forma di onde che viaggiano alla velocità della luce e che attraversano l’universo. Di fatto, il fenomeno potrebbe essere inteso come uno... “spaziotempomoto”!
Un buco nero potrebbe essere il prodotto finale del collasso di stelle sufficientemente grandi in seguito agli eventi parossistici che le coinvolgono alla fine della loro evoluzione, facendole esplodere (fase di supernova). Una stella si trova in equilibrio quando le reazioni termonucleari al suo interno bilanciano l’effetto gravitazionale che tenderebbe sempre a “comprimerla”, a farla cadere su sé stessa. All’esaurimento della “spinta nucleare”, la gravitazione riprenderebbe il sopravvento dando inizio al collasso, che potrebbe produrre, per rimbalzo, l’espulsione violenta di gran parte della massa stellare nella fase di supernova (con fortissimo e repentino aumento della sua luminosità nel cielo). Ciò che avverrà dopo questi eventi è legato molto al valore della massa iniziale della stella coinvolta nel processo e di quella del suo nucleo. Se questa non è eccessivamente elevata, l’enorme compressione dovuta al collasso potrebbe spingere il nucleo stellare a disgregarsi addirittura a livello atomico e nucleare: di fatto, gli elettroni orbitanti attorno al nucleo (portatori di carica negativa) verrebbero “assorbiti” da quest’ultimo e costretti a reagire con i protoni (portatori di uguale carica opposta, ma positiva) producendo come risultato neutroni. A questo punto, il nucleo superstite della stella (di poche decine di chilometri di diametro e dotato di elevatissima velocità di rotazione) sarebbe composto interamente da una compatta materia nucleare, i neutroni, con una densità oltre centomila miliardi di volte quella della roccia e dotata di intensissimi campi magnetici: siamo nella fase di “stella di neutroni”.
Una delle forme più conosciute di stelle di neutroni è la pulsar, che emette fasci intensi e direzionali di radiazione che generano nei ricevitori segnali estremamente regolari, funzionando in pratica come un faro rotante.
La descrizione fornita dei processi che coinvolgono il destino di una stella è necessariamente molto semplificata. In realtà, lo studio dell’evoluzione stellare si suddivide in parecchie linee, dipendenti da molti parametri che entrano in gioco nelle varie fasi e da varie condizioni al contorno.
Perché questa scoperta sarebbe straordinaria
Cosa c’è di straordinario in questa scoperta, se fosse confermata? La produzione di onde gravitazionali rilevata in questo evento sarebbe imputabile non alla fusione di due buchi neri orbitanti bensì a due stelle di neutroni all’interno di un analogo sistema binario appartenente a una lontana galassia. La prima osservazione è che il fenomeno sarebbe stato registrato utilizzando una triangolazione tra due stazioni interferometriche chiamate LIGO e VIRGO, la prima negli Stati Uniti, la seconda in Italia, presso Pisa. Questo ha consentito di evidenziare la “coincidenza” del fenomeno.
L’altro aspetto, non secondario per questa nascente astronomia (o astrofisica) basata sulla rilevazione di onde gravitazionali, è che in tal modo sarebbe possibile rilevare tale fenomeno con masse forse non eccessivamente grandi, come è accaduto per i buchi neri in fusione scoperti lo scorso anno, migliorando quindi la soglia di sensibilità, e soprattutto ottenendo questo risultato con oggetti che sarebbero rilevabili anche tramite osservazione diretta (addirittura si ritiene che il fenomeno sia risultato rilevabile nella banda ottica, una circostanza davvero straordinaria), differentemente da ciò che accade con i buchi neri, che non lo sono.
Insomma, nel 2016 abbiamo osservato le onde gravitazionali provenienti da oggetti nascosti da un pesante sipario che abbiamo visto... “oscillare”. Oggi avremmo forse la possibilità di seguire il balletto in palcoscenico di due stelle che hanno fatto ondeggiare le pieghe di un sipario leggero e ancora chiuso... però trasparente!