Il primo Summit internazionale sull’Intelligenza Artificiale organizzato dalla fondazione no profit XPrize, la cui missione è quella di individuare le migliori innovazioni che abbiano impatto positivo sull’uomo, si è tenuto a Ginevra i primi di giugno scorso presso la sede dell’ITU (International Telecommunication Union) e ha affrontato il tema delle opportunità di sviluppo dell’AI (Artificial Intelligence) quale strumento di risoluzione dei problemi del nostro pianeta e al contempo di possibile causa di ulteriori divari economici nella società del futuro.
Il riferimento è stato chiaramente rivolto ai 17 obiettivi del SDG (Sustainable Developement Goals) sviluppati dall’ ONU e ci si è posti la domanda su quale ruolo possa avere l’AI nel costruire risposte concrete alle grandi sfide sociali ed economiche del nostro secolo. Da qui il titolo della conferenza “AI for Good”, promossa dall’ONU, che ha aperto la discussione anche sulle importanti questioni etiche connesse ad un errato uso di una delle tecnologie forse più potenti e impattanti che la storia abbia mai visto prima, appunto l’Intelligenza Artificiale.
Nei tre giorni intensi di lavori, in cui i relatori e moderatori provenienti dai centri di massima competenza al mondo sull’AI hanno avuto vari ruoli nelle diverse sessioni passando dalla funzione di produttori di contenuti a quella di stimolatori degli stessi, sono stati affrontati vari temi tutti tra loro interconnessi e capaci di farci visualizzare un mondo che potremmo definire “aumentato”. Si è partiti dall’osservare le evoluzioni della programmazione del linguaggio naturale (NLP (Natural Language Processing) che consentirà il nascere di nuove forme di comunicazione più democratiche e immediate (basti pensare ai traduttori simultanei e alla capacità di creare video animati in pochi secondi che raccontano una storia comprensibile in qualsiasi lingua…); fino ad affrontare la silente, ma pericolosa, questione della sicurezza cibernetica, il tutto passando attraverso i diversi ambiti di comune interesse quali l’educazione, il lavoro, l’interazione uomo-macchina e le sue nuove possibili applicazioni sui mercati globali.
Tuttavia, tra tutti i punti discussi nelle diverse sessioni è necessario soffermarsi con maggiore attenzione su quelli che potrebbero essere i veri originatori di nuovi equilibri, o anche squilibri, e per i quali è ormai urgente porre le basi per una riflessione più ampia che miri a dare in tempi rapidi delle risposte concrete.
E’ il caso di quelle che vorrei definire le cinque direttrici fondamentali del tempo in cui viviamo, ove per tempo si vuole intendere un luogo di confine e quindi di passaggio dallo scorso e ormai lontano secolo della linearità verso quello del tutto ignoto dell’esponenzialità. Mi riferisco dunque alla Regolamentazione dei Big Data; alla Creazione di un nuovo mondo del Lavoro; alla Risoluzione dei problemi globali; alla Gestione del punto di singolarità uomo-macchina; e infine e soprattutto alla Definizione dei limiti posti dall’etica.
A queste cinque direttrici sono collegate le domande oggi maggiormente dibattute, poiché le risposte che ci si attende potrebbero radicalmente cambiare gli scenari in cui viviamo: quale sarà l’impatto dei possessori dei Big Data sulla società e sull’economia? L’uomo sarà veramente sostituito dalle macchine nelle proprie attività professionali? Sarà possibile usare l’AI per affrontare le grandi sfide globali del nostro pianeta? Siamo davvero vicini al cosiddetto trans-umanesimo inteso come passaggio da una dimensione umana convenzionalmente nota a una più “evoluta” e accelerata, tale da richiedere la continua interazione uomo-macchina per far fronte agli stimoli e alle nuove esigenze di una società sempre più interconnessa? E trasversalmente a tutto ciò, quali saranno le implicazioni etiche delle inevitabili scelte complesse che avvieranno percorsi esponenziali di non ritorno?
Iniziamo dai Big Data, su cui molti si chiedono se veramente saranno il cosìddetto “fuel of the future”.
E’ evidente che il mercato dei Big Data è oggi sempre più grande e gli interessi delle multinazionali sono in continua crescita. Il motivo è da individuare nella molteplicità di usi di questi dati che consentono, se ottenibili in quantità elevate, di conoscere meglio la società nel suo complesso e ogni singolo individuo nelle sue esigenze anche più intime. L’uso di questi dati in maniera aggregata e la loro interpretazione attraverso algoritmi sempre più intelligenti consentirà di decidere quali saranno le geografie e le dinamiche più efficaci per la promozione di nuovi prodotti e servizi; sarà possibile raggiungere con informazioni mirate coloro i quali hanno già manifestato interesse per un certo genere di tematica e sarà più facile capire quali potrebbero essere le intenzioni di voto di un gruppo di popolazione e quale il linguaggio su di esso più efficace da usare per ottenere consensi. I Big Data dunque sono sicuramente una nuova risorsa preziosa della quale i grandi giocatori dei mercati finanziari e produttivi globali non potranno fare a meno. Ma la questione che si pone è dunque come coniugare le esigenze dei mercati più ricchi con la necessità di usare questi dati anche ai fini di prevenire o risolvere le problematiche sociali connesse alle popolazioni dei mercati più poveri? Chi avrà il potere di definire l’uso dell’AI nell’elaborazione dei Big Data in maniera tale da ridurre il rischio che il divario sociale tra le diverse popolazioni divenga anch’esso esponenziale? I governi, gli scienziati o le industrie?
Secondo Fei-Fei Li, Direttore del Laboratorio di Intelligenza Artificiale di Stanford a cui ho rivolto queste domande, la responsabilità di indurre un circolo virtuoso nell’uso delle applicazioni dell’AI e quindi dei Big Data “è sicuramente delle multinazionali che già detengono questi dati. I centri di ricerca subiscono la pressione delle richieste delle grandi aziende che guardano soltanto ai mercati evoluti e ricettivi come luoghi per la creazione di nuovi business, mentre trascurano lo sviluppo di soluzioni che possano rispondere alle grandi sfide imposte dai problemi globali”. In sostanza, bisogna pensare alla missione del progresso quando lo si sviluppa e lo si promuove, e non alla sua strumentalizzazione.
E’ dunque chiaro come questo sia un ambito in cui la questione della regolamentazione dovrà essere affrontata in maniera seria e i vari Governi dovranno strutturarsi per comprendere la complessità degli impatti che uno scorretto e asimmetrico uso dei dati potrebbe generare nei diversi Paesi.
Il secondo punto è sulla questione del nuovo mondo del lavoro. Uno studio della McKinsey dello scorso maggio dichiara che il 49% delle professioni umane nei prossimi 20 anni subirà un cambiamento causato dall’automazione e dall’uso di algoritmi di Intelligenza Artificiale, ma sostiene anche che nel 2065 ci sarà un aumento rapidissimo dei nuovi posti di lavoro che saranno generati dai nuovi sistemi industriali e dalla sempre più sviluppata interazione uomo-macchina. Il punto è cosa fare durante il lungo periodo di cambiamento che ci sarà da adesso fino al momento di un nuovo raggiungimento di stabilità nel sistema del lavoro. Pensare che l’uomo debba divenire più creativo per competere con le macchine e quindi conservare il proprio posto di lavoro è irrealistico in quanto sappiamo bene che la creatività non si può imparare e, se anche fosse possibile apprenderla, ad una maggiore offerta di creatività dovrebbe corrispondere una equivalente domanda della stessa, cosa al quanto improbabile nei prossimi decenni in cui le popolazioni cresceranno (secondo le proiezioni fatte dalle Nazioni Unite saremo già 9 miliardi nel 2045, contro i 7,3 miliardi di adesso) e le questioni da affrontare saranno principalmente legate a come sfamare quelle più povere e far si che quelle più ricche non perdano troppo della loro ricchezza accumulata nello scorso secolo. La soluzione oggi non è ancora pervenuta neanche al Summit di Ginevra, quello che però si è lanciato come messaggio è la necessità di conservare le attuali infrastrutture, rendere i dati più democratici e richiedere ai governi una maggiore attenzione alle questioni che potranno generare degli sconvolgimenti nel mondo del lavoro; quindi anche in questo caso la parola regolamentazione diviene centrale.
Per affrontare il terzo punto sulla risoluzione dei problemi globali attraverso applicazioni di AI uso una frase di uno dei relatori della conferenza: Antoine Blondeau, Chairman di Sentient, che sostiene che “ogni cosa è un problema di Intelligenza Artificiale”. Ovvero per ogni problema ci sarà una soluzione offerta da algoritmi di AI. Questo significa che a breve non parleremo più di Intelligenza Artificiale, bensì di strumenti, oggetti e applicazioni che vivono grazie all’AI. Del resto anche noi oggi non parliamo più di internet, ma delle applicazioni che i protocolli TCP/IP (Transmission Control Protocol e Internet Protocol) hanno di fatto abilitato. Nel futuro quindi pensando al problema della fame nel mondo non parleremo di AI, ma magari di serre intelligenti; penseremo ai problemi di salute ad esempio dei soggetti diabetici e useremo delle applicazioni che prevedono quale sarà il livello glicemico del paziente nelle ore successive prima ancora che si verifichi; sceglieremo quale film guardare dopo aver chiesto all’assistente virtuale le recensioni migliori della settimana e, infine, dopo aver letto un articolo su una testata digitale selezioneremo il tasto di verifica per sapere se le informazioni sono attendibili e scopriremo che le informazioni erano sicuramente attendibili poiché quell’articolo lo aveva scritto una macchina. Questi sono solo alcuni degli esempi di applicazioni possibili, ma la vera sfida sarà partire dai problemi più urgenti e affrontarli veramente con l’intenzione più virtuosa. In realtà su questa via siamo ancora a metà del percorso che porta davvero alla capacità di creare le giuste soluzioni ai grandi problemi. C’è ancora molto da fare nello sviluppo di algoritmi intelligenti capaci di affrontare le grandi sfide, ma nell’attesa di migliorare le capacità di sviluppo software possiamo partire però dalla mappatura dei problemi prioritari e costruire nuovi scenari che incoraggino le grandi aziende a occuparsi di questi problemi.
Su questo tema, utopisticamente parlando, mi piacerebbe immaginare una regola che possa stabilire che per ogni nuova azienda che si vuole quotare in Borsa sia necessario che vi sia evidenza del requisito di social impact generato da una parte del business della stessa e che tale requisito possa essere condizionante per lo stato di permanenza dell’azienda quotata sui mercati finanziari. Sarebbe una bella sfida e al contempo tale regola forse abiliterebbe la creazione di nuovi mercati sempre più etici.
Gli ultimi due punti si possono trattare insieme in quanto l’interconnessione tra il punto di singolarità uomo-macchina e l’etica è la questione fondamentale dello sviluppo dell’AI. La riflessione riguarda sia i diritti umani sia il divario tra povertà e ricchezza, anche se le due cose sembrano distanti.
Nello scorso secolo il divario tecnologico tra Paesi ricchi e paesi meno ricchi era molto marcato e tale da non consentire contaminazioni. Basti pensare che anche tra gli stessi paesi evoluti, come ad esempio tra USA ed Europa, il gap tecnologico era di circa 20 anni. Gli Stati Uniti infatti per tutto lo scorso secolo avevano potuto mantenere un vantaggio competitivo sugli altri paesi europei sul piano economico, sociale e culturale, grazie ad un netto vantaggio in termini di progresso tecnologico. All’inizio di questo nostro secolo invece lo sviluppo delle tecnologie digitali ha consentito di accelerare il fenomeno della globalizzazione così da consentire ad altri Paesi del primo mondo comunque di raggiungere il livello tecnologico degli Stati Uniti e ad ancora altri Paesi più arretrati (basti pensare ai pagamenti digitali in Africa) di poter vivere almeno un sentimento globale essendo anch’essi interconnessi grazie alla rete. Il digitale ha dunque creato grandi opportunità, non pienamente sfruttate e/o sufficienti a creare davvero ricchezza per i paesi più disagiati, ma quanto meno ha potuto generare un impatto positivo sull’aspettativa culturale ed economica delle diverse popolazioni gettando una base per una nuova crescita.
Oggi e in futuro le tecnologie esponenziali, quali l’Intelligenza Artificiale in generale a quella applicata alla robotica, si configurano invece come uno strumento capace di aumentare incredibilmente le capacità produttive, ma soprattutto dei Paesi più ricchi. La conseguenza di ciò è nuovamente un nuovo profondo divario sociale - che in parte la tecnologia digitale sembrava avere attenuato - la cui crescita anch’essa è destinata a divenire esponenziale. Ed è questo il punto in cui il tema etico di come dimensionare l’impatto dell’AI si intreccia con le questioni del suo utilizzo. Un’accelerazione del progresso i cui impatti privilegino soltanto alcune parti del nostro pianeta potrebbe diventare la causa di nuovi conflitti originati dal divario tra “società aumentate” e “società bloccate”. Pe usare le parole di Chinmayi Arun, Executive Director of Centre for Communication Governance at National Law University Delhi: “Quando si progetta un algoritmo AI bisogna pensare a generare un global impact e non un local impact”. L’interazione uomo- macchina dunque pone due questioni etiche fondamentali: la prima riguarda la necessità di porre una barriera all’uso settoriale e quindi parziale delle enormi opportunità derivanti dall’aumento delle capacità umane grazie all’uso delle macchine e degli algoritmi AI; e la seconda è intrinseca al concetto di essere umano e al confine etico che oggi si pone tra evoluzione naturale ed evoluzione artificiale dell’uomo.
E veniamo quindi a questo secondo, ma non secondario, aspetto.
In tale ambito non si può non citare David Hansen che ha presentato uno dei primi umanoidi al mondo, Sofia, con cui in sala abbiamo potuto conversare e scoprire che l’inventore aveva dotato la sua “creatura” di una notevole ironia. Si tratta di un Social Robot pensato per intrattenere le persone, fare training, connettere altre persone e intuire questioni complesse meglio di come l’uomo possa fare, soprattutto se condizionato dal proprio umore temporaneo di cui sicuramente Sofia non subirà alcuna influenza. La domanda che ci si pone è di sicuro tra quanto tempo potremmo interagire fluidamente con Sofia e i suoi discendenti? David Hansen è ottimista e al contempo ermetico e sui tempi di conclusione del progetto auspica un arco temporale di 5-15 anni al massimo.
Dunque, lo scenario è denso e articolato e richiede continui approfondimenti, ma di sicuro se ancora lontane sono le risposte che vorremmo ascoltare, una di queste è sicuramente vera ed incoraggiante e arriva da Francesca Rossi, IBM Researcher on AI Ethics: “AI will be shaped by humans”.
Nessun dubbio dunque sulla capacità degli uomini di indirizzare le intelligenze artificiali verso percorsi e applicazioni etiche; siamo noi a decidere cosa esse devono imparare e su quali grandi temi dovranno operare e se volessimo davvero costruire un mondo migliore in cui porre al centro l’uomo e il suo diritto a vivere meglio di sicuro le macchine ci potrebbero dare una mano, se sapremmo immaginare un progresso più inclusivo ed etico con cui costruire la nuova società del futuro, quella che Katsumi Emura, Executive Vice President and CTO of NEC Corporation, ha definito nel suo brillante intervento “la Società 5.0 = Human Centered Society”.
In conclusione, siamo sempre di fronte allo storico dilemma sul quanto potranno essere spostabili le barriere etiche al fine di garantire la tutela della dignità umana, di assottigliare lo spessore delle diseguaglianze e al contempo di non inibire la necessaria e giusta evoluzione della specie e la sua storica vocazione per la ricerca e il progresso.
E’ dunque necessario formulare presto una nuova equazione sostenibile tra progresso, etica e visione sul futuro del genere umano affinchè il lungo viaggio nella storia intrapreso milioni di anni fa dai nostri padri ominidi conservi il suo senso più profondo e la sua missione di evoluzione e resistenza del genere umano anche nell’inatteso confronto con la nuova razza del nostro tempo, quella degli intelligenti umanoidi.