Il 29 febbraio è un giorno raro, ce n’è solo uno ogni 1.460 giorni. La giornata delle malattie rare non poteva che cadere in questa data: negli anni in cui è assente le celebrazioni cadono il 28 febbraio, oggi. Il tema di quest’anno è l’integrazione tra i servizi sanitari e i servizi sociali. Integrare questi due aspetti vuol dire riconoscere che il paziente è molto di più della sua malattia: è una persona che ha una famiglia, delle capacità e dei desideri. Ha diritto alla diagnosi e alle cure ma anche all’istruzione, al lavoro, allo svago.
Per i malati rari le barriere al raggiungimento di questi traguardi cominciano prima che per i ‘malati normali’, cominciano dalla diagnosi. Averne una è un gran risultato, se poi c’è anche una terapia disponibile ed efficace – meno del 5% delle malattie rare ne ha una – il pensiero frequente è che sia già fortunato così: il più è fatto. Poiché diagnosi e terapia non sono scontati si tende a far vedere il servizio sociale – dall’assistenza domiciliare fino all’accessibilità dei luoghi di svago, passando per il supporto al careviger – come un optional, quasi una pretesa.
Insomma, già sei un malato difficile perché raro, hai la terapia che magari è anche cara, ora che ti curo non vorrai anche fare una vita da sano? Ecco, se non superiamo questo modo di pensare a compartimenti stagni, che divide i malati normali, che costano il giusto, e i malati rari, che pare siano sempre costosi (si tratta in realtà di un falso mito, in realtà la spesa sanitaria complessiva per i malati rari è di 1,36 miliardi l’anno, solo l’1,2% della spesa sanitaria), l’integrazione tra sanitario e sociale non ci potrà essere. Nel momento il cui abbattiamo questo primo ‘silo’, mentale, ecco che potremmo essere pronti ad abbatterne un altro più concreto, di tipo organizzativo ed economico.
Oggi il costo di un paziente è diviso in due silos, quello sanitario – fatto di ricoveri, diagnostica e farmaci – e quello sociale (la spesa sociale per malati rari è di circa 100 milioni di euro l’anno, dato che emerge da una recente analisi condotta dall' Eehta del Ceis della Facoltà di Economia dell'Università di Tor Vergata), composto soprattutto da assegni di invalidità, pensioni di inabilità, e dal costo indiretto della perdita di produttività tanto del malato raro quanto del/i caregiver: i dati mostrano che questo importo cresce tanto più la diagnosi e la presa in carico sono tardive.
Per assurdo però i tentativi di risparmio si fanno principalmente sulla spesa sanitaria: ma se si risparmia sulla diagnosi precoce e si ritardano i trattamenti si avranno pazienti con maggiori disabilità, invalidità maggiori, maggiori bisogni assistenziali, e ciò che si è risparmiato all’inizio ricade, moltiplicato, sulla spesa sociale. Per non parlare poi di come ricade sulla qualità di vita: un danno doppio che, con una vera e completa integrazione socio sanitaria, potrebbe essere evitato.