C’è un dettaglio della celebrazioni dei 30 anni del web su cui vorrei tornare. Mi riferisco al fatto che il papà della rete come la conosciamo oggi, Tim Berners Lee, per far passare il suo messaggio, la sua visione su cosa auspica per i prossimi 30 anni, non ha scritto soltanto un post sul suo sito web: ma ha sentito l’esigenza di comprare una pagina di pubblicità su un giornale di carta. Ovvero su un mezzo di comunicazione che dopo alcuni secoli di onorato servizio, proprio il digitale ha spedito nello spazio della crisi più nera.
Alcuni dicevano addirittura che nel 2013 il New York Times avrebbe smesso di stampare giornali di carta per diventare soltanto un giornale online. Non è andata così, ma la crisi dei giornali in tutto il mondo non è mica finita. Sono soprattutto i giovani, si dice, a non sapere nemmeno cosa sia l’oggetto giornale di carta. Eppure Tim Berners Lee, nel giorno del trentesimo compleanno del world wide web, sceglie di consegnare al mondo un tweet con una sua foto di spalle mentre legge un giornale di carta.
E quel giornale è il Financial Times di Londra, formato lenzuolo, un giornale che per tenerlo aperto devi allargare le braccia, un gesto che appartiene al secolo scorso. E a pagina 9, pagina di destra, lo dico per i giornalisti, pagina nobile, c’è soltanto una pubblicità della web foundation. Su fondo nero si leggono in bianco tre parole World Wide Web e le prima due sono come cancellate da una riga orizzontale rossa.
Il messaggio è che è il web ha 30 anni ma non è ancora world wide, mondiale, perché la metà della popolazione non ha accesso a Internet, e perché l’altra metà si sente a disagio o minacciata quando è in rete. Ora dipende da noi avere un web migliore. E un web migliore non comporterà necessariamente la fine dei giornali di carta, dipenderà dalla loro capacità di diventare portatori di storie importanti, memorabili, da stampare a futura memoria.