Qualche anno fa, quando insegnavo alla Scuola Holden di Torino, decisi di portare la mia classe di studenti, aspiranti giornalisti e raccontatori di storie memorabili, ad Ivrea. Era a meno di un’ora di treno e mi sembrava emozionante far vedere loro dove si erano svolte tante storie dell’innovazione italiana del secolo scorso. La città fabbrica di Camillo e poi Adriano Olivetti che adesso l’Unesco riconosce quale patrimonio dell’Umanità: e non sai se esultare o piangere per questa notizia che inserisce una utopia realizzata in un elenco in cui stanno le città perdute degli Incas e dei Maya, le piramidi di Giza e l’Acropoli dell’Antica Grecia. Capolavori assoluti di un tempo lontanissimo.
Ma era ieri, non mille anni fa, quando Olivetti era un esempio noto e invidiato ovunque. Quando grazie all’incrocio fra tecnologia e design venivano progettate macchine da calcolo che avrebbero cambiato il mondo e ci avrebbero portato per le prima volta sulla Luna. Era ieri quando si concepì un modello industriale che aveva alla base la cultura di tutti, anche dell’ultimo degli operai, e la felicità di ciascuno. Era ieri quando la Silicon Valley eravamo noi e in quell’area della California alle spalle di San Francisco, Steve Jobs e altri giovanissimi nerd guardavano a Ivrea come al modello da imitare.
Con gli studenti della Holden arrivammo a Ivrea in una scintillante mattina d’inverno e trovammo solo i ruderi di un sogno perduto. Della pulsante città di Adriano Olivetti erano rimaste solo le vestigia mangiate dall’umidità e dalla vegetazione. Ancora c’era qualche zona viva, ma là dove un tempo si inventava il futuro, qualche multinazionale aveva trasferito il proprio call center. Poco altro, direi.
Essere inseriti nella lista dell’Unesco, un elenco in cui l’Italia è leader mondiale assieme alla Cina, è al tempo stesso una beffa e un riconoscimento. Ma dovrebbe essere un incentivo a ripartire, a ricominciare a sognare. Un tempo, non così lontano, non eravamo solo consumatori di tecnologia ma la inventavamo per provare a rendere il mondo migliore. E potevamo farlo perché alcuni credevano nella potenza inarrestabile della conoscenza e della cultura. Davvero sembrano mille anni fa.
Siamo tornati a Torino dopo sei ore, gli studenti mi sono apparsi stanchi, alcuni annoiati. Il tramonto sembrava lì apposta per noi.