Ho letto moltissimi sfottò sull’ultimo, ennesimo, manifesto di Mark Zuckerberg che promette di prendersi cura, finalmente, della nostra privacy social, quando stiamo su Facebook e Instagram, su Whatsapp e Messenger. Un autorevole professore di diritto per esempio ha detto che quando Zuckerberg parla di privacy le sue affermazioni andrebbero prese non con un granello di sale, come recita un antico detto, ma con tanti granelli di sale in grado di rendere salato un lago di medie dimensioni.
La verità è che 15 anni di promesse e errori, stanno lì a dimostrare che il fondatore di Facebook sta alla privacy come il lupo delle favole sta a cappuccetto rosso. Ma sarebbe sbagliato liquidare le sue circa 3200 parole come l’ennesima cortina di fumo per giustificare il fatto che presto unirà i diversi servizi social in un’unica infrastruttura “per controllarci meglio” e magari lanciare un sistema di pagamenti alternativo alle banche (c’è un team al lavoro da molti mesi a Menlo Park con questa missione specifica: creare una moneta virtuale valida per quasi tre miliardi di persone, i suoi utenti). Sarebbe sbagliato perché quello che davvero emerge dal manifesto è l’ultimo stadio evolutivo di internet.
Mi spiego meglio. La rete che connette il mondo all’inizio, 50 anni fa esatti, connetteva quattro computer distanti qualche centinaio di chilometri: era come aver creato uno stretto sentiero dove poteva passare un carretto. Gradualmente si è estesa e si è allargata, con la banda ultralarga abbiamo iniziato a parlare di autostrade dell’informazione, dove i bit viaggiano velocissimi. Ma la trasformazione più importante è stata la nascita del web prima, con la creazione di siti, pezzi di mondo portati nel mondo digitale; e poi dei blog, i nostri diari; e infine i social. Le grandi piazze globali, le nuove agorà.
La parola chiave dei social era sharing, condivisione, nel senso di condividere tutto, foto, pensieri, idee. Zero privacy, un concetto da rottamare. L’idea fondamentale era che questo metterci tutti assieme senza muri o barriere avrebbe magicamente creato un mondo migliore. Erano gli anni di Obama alla Casa Bianca. Non è andata così. In queste piazze digitali abbiamo iniziato a litigare furiosamente, invece di apprezzare le idee degli altri, ci siamo arroccati nelle nostre convinzioni.
E poi sono arrivati i molestatori, gli spacciatori di balle, i bot travestiti da esseri umani. E i gestori di queste piazze non sono riusciti a proteggerci tutti presi com’erano a fare i soldi su ogni nostra emozione rivenduta alla pubblicità. Ora il mondo torna a parlare di muri. E il futuro di internet, dice Zuckerberg, è una piattaforma sicura e criptata tramite cui comunicare con i propri amici dalla propria casa. Precisamente: dal “living room”. Dalla piazza alla cameretta. La rete in una stanza.