Un italiano su tre quando si sveglia nel mezzo della notte la prima cosa che fa è guardare il telefonino: per vedere che ore sono, a volte per controllare i messaggi su Whatsapp e alcuni, uno su dieci, persino per rispondere alle email di lavoro. Lo faccio anche io, lo confesso. E dopo una ricerca globale, curata dalla società Deloitte, mi sento un po’ meno solo. Il telefonino ha smesso da tempo di essere un telefono e basta: è diventata una protesi, un prolungamento del nostro sistema nervoso quasi; il custode dei nostri segreti più intimi, lo strumento per raggiungere i nostri amici sempre e ovunque, e anche il modo per godere di una offerta di contenuti (video, canzoni, testi) illimitata. C’è un prezzo per tutto questo, anzi due: delle notti insonni abbiamo già detto (ci sono certi messaggi che letti nella notte levano il sonno); l’altro sono le litigate. “Stai sempre attaccato al telefonino!” è una frase che sempre più spesso si sente fra moglie e marito, ma anche fra genitori e figli e sono sia i genitori che i figli ad essere accusati a turno di non sapersi staccare dallo smartphone.
L’Italia è il paese europeo in cui si litiga di più per il cellulare. Il doppio di Germania e Regno Unito. Non è un caso: qui molti adulti in carriera ammettono di controllare il telefonino almeno 200 volte al giorno. Può sembrare delirante ma non lo è: la verità è che viviamo in una rete, siamo sempre più always on, sempre accesi, pronti a reagire a stimoli esterni. Le notifiche - di un messaggio o di un aggiornamento di un sito - sono diventate la nostra condanna. Ma anche una fonte inebriante che ci alimenta delle cose che vogliamo sapere, sempre. Non si tratta quindi di fare una crociata contro i telefonini e di demonizzarne l’uso (io non saprei farne a meno), ma di invitare all’autodisciplina. Ci sono attività che non si possono fare quando sei bombardato di notifiche. Per leggere un libro, scrivere, fare i compiti, creare qualcosa di originale, parlare davvero a qualcuno, devi saper uscire dalla rete. Spegnere il telefonino, a volte, vuol dire iniziare a vivere.