Ma davvero tutti i leader politici vogliono così bene a Mario Draghi? Tirato in ballo di carambola durante il match tra Consob e Bankitalia sulle banche venete, il presidente italiano della Bce viene difeso da tutti, a parole e il giorno dopo. Ma l’unico veramente preoccupato del tiro al piccione su alcune delle principali istituzioni italiane, come appunto l’istituto di via Nazionale e la Commissione Nazionale per le Società e la Borsa, e sul numero uno di Francoforte, è Sergio Mattarella. Che invece tace, ma dietro le quinte non lesina i suoi richiami e i suoi consigli.
Gli altri non si faranno certamente trovare in prima fila ad attaccare Draghi, anzi sottolineano che su di lui non ci sono sospetti. Lo ha deto chiaro e tondo il dem Ettore Rosato. Ma in fondo non disdegnano che qualche schizzo di fango giunga fino a lui. Due sono i principali motivi. Innanzitutto l’ex governatore di Bankitalia e attuale guida della Bce è da sempre visto dalla politica come uomo dei cosiddetti poteri forti, dunque, al di là di quanto sia fondata questa accusa, come facile bersaglio per chi voglia guadagnare qualche voto antisistema. E poi perché alla vigilia di un voto politico che potrebbe tradursi in un nulla di fatto, torna ad affacciarsi lo spettro dei tecnici, cioè di quei civil servant che in momenti di impasse sostituiscono i politici alla guida di ministeri e governi. Se tra l’altro l’impasse fosse una vera e propria palude e dal voto non uscisse né un vincitore né un governo, il rischio potrebbe essere quello di tornare a votare.
Uno scenario alla spagnola, insomma: a Madrid si votò nel dicembre 2015 ma per sei mesi non si riuscì a formare un governo e quindi si rivotò nel giugno 2016. Se si tornasse a votare a pochi mesi dalle elezioni di primavera, si arriverebbe a un risultato non prima dell’autunno. A quel punto mancherebbe poco dalla fine del mandato di Mario Draghi a Francoforte, che scade di fatto nel maggio 2019 anche se il passaggio di consegne avviene a fine ottobre, e molti temono che a qualcuno potrebbe venire in mente di chiamarlo come classica riserva della Repubblica per la guida del governo. Lo scenario è molto più un timore di alcuni che un’ipotesi fondata e fattibile. Ma se qualche schizzo di fango arriva a Super Mario, la politica non si straccia le vesti.