Gianna Nannini, “La differenza”: Voto 8,5
Nell’ultimo periodo continua prepotentemente a venire fuori questo disagiante problema delle donne nella musica. Perché ce ne sono così poche? Perché l’industria le snobba? Perché il pubblico sembra non sentirne affatto la mancanza? Posto che da un lato il problema esiste indubbiamente, come esiste in tutti gli ambienti di questa fradicia società, è anche vero che l’offerta non è che sia poi così appetitosa. Te ne accorgi quando poi scendono in campo artiste di un certo spessore come, ad esempio, Gianna Nannini.
Non c’è una donna nella discografia italiana in questo momento, che sia anche solo lontanamente paragonabile alla rocker toscana in quanto a personalità. “La differenza” è un brano scritto in maniera perfetta, contiguo alla produzione dell’ultima Gianna Nannini, decisamente più soft, ma non per questo inferiore. “In questo gioco vince solo chi si arrende”, verità assoluta snocciolata in salsa pop. Una canzone non può fare di più, dopo averla ascoltata, che modificare le impostazioni del tuo modo di pensare. Bentornata Gianna, ci sei mancata un sacco.
Marco Mengoni, “Duemila volte”: Voto 5
Ok, posto che qualcuno il pop melodico lo deve pur fare, meglio che lo faccia Marco Mengoni. Prima di tutto perché è riuscito nell’impresa di costruirsi uno stile che, oltre a funzionare, è suo e basta (tant’è che già comincia ad essere ridicolmente imitato); e poi perché è la dimostrazione vivente che anche un talent musicale televisivo può sfornare artisti decenti. Detto ciò, “Duemila volte” non è di certo il suo miglior brano, appare disinteressato e distante, come se fosse stato forzato, pistola alla testa, a far uscire qualcosa, qualsiasi cosa, che tanto tutto fa brodo. No, non funziona affatto così. “Duemila volte” non coinvolge e affronta in maniera ben poco originale un tema trito e ritrito, vecchio, un tema, l’amore e affini, che ormai o lo si presenta con un piglio particolarmente evocativo oppure, semplicemente, non ci serve a nulla. Alla prossima.
Giuliano Sangiorgi, “Maledetti amici miei”: Voto 8
Giuliano Sangiorgi, leader dei Negramaro, torna a collaborare con il regista Giovanni Veronesi dopo la firma, qualche anno fa, della colonna sonora di “Non è un paese per giovani”. Stavolta si tratta di un programma televisivo dal titolo, appunto, “Maledetti amici miei”, e della sua omonima sigla finale. Uno show di altissima qualità, come non se ne vedevano da molti anni, e la sigla di Sangiorgi altro non è che la ciliegina su una torta deliziosa. Sangiorgi conferma di essere, aldilà di un ottimo musicista, un grande narratore. La sua “Maledetti amici miei” riassume perfettamente la poetica di base dello show, che vede impegnati quattro amici: Giovanni Veronesi, Rocco Papaleo, Sergio Rubini e Alessandro Haber.
Ma le loro storie, per quanto indubbiamente più avvincenti di quelle della maggior parte di noi, sono comunque storie di amicizia, come quelle di chiunque altro. Allora tu, che viaggi in treno, ascoltando la canzone di Sangiorgi, guardi fuori dal finestrino il paesaggio che scorre e cominci a pensare ai tuoi vecchi amici, a dove saranno, a cosa staranno facendo, a quanto tempo è che non li vedi e alla loro straordinaria capacità, quasi magica, quasi extraterreste, di non usare parole per capirti, “come fossero pensieri miei che non devo nemmeno pensare”. C’hai commosso un’altra volta maledetto di un Sangiorgi.
Fabri Fibra/Franco 126, “Come mai”: Voto 6,5
“Come mai” non rimarrà certo nella storia come miglior brano di Fabri Fibra, che invece resterà certamente nella storia come esponente fondamentale di un genere, il rap, che lui non solo ha contribuito a far conoscere, ma anche a impreziosire con pezzi di una dignità letteraria pari (molte volte superiore) a quelli di un qualsiasi classico del cantautorato italiano. Detto ciò, in questa occasione si mette accanto Franco 126, autore di uno dei migliori album rap dell’anno.
Sinceramente, dopo l’annuncio, sarà che i due personaggi ci interessano parecchio, ma abbiamo infilato i cuffioni con gli occhi strizzati pronti all’esplosione di una bomba atomica. L’effetto non è esattamente questo. Il brano è prodotto bene, parla di una separazione quindi una certa cupezza potrebbe anche essere giustificata, ma non brilla mai, non prende totalmente come ci aspettavamo. Che non sia un brutto brano è normale, come potrebbero due professionisti come loro? Ma ci aspettavamo qualcosa in più.
Levante, “Magmamemoria”: Voto 7
C’è un motivo ben preciso per cui Levante ha il successo che ha: è donna. È molto donna. È indiscutibilmente donna. È la donna più donna del nostro panorama discografico. E con “donna” intendiamo che è la cantautrice che meglio e più di tutte interpreta e declina in musica l’universo femminile, o meglio, la visione femminile del mondo. Roba che ascolti il disco e hai l’impressione che ti stia venendo il ciclo. Ciò, scherzi a parte, fa di lei una cantautrice assolutamente necessaria.
Magari nell’album “Magmamemoria” non ci sono picchi di genialità come in “Alfonso”, primo singolo ad averla lanciata nel mondo dell’indie, dal quale è passata per circa un quarto d’ora prima di essere assorbita totalmente dal mainstream, ma la narrazione è fluida e tecnicamente ineccepibile. Sui social è certamente il disco più discusso e ricondiviso della settimana ed è un premio, per quanto possa valere, che Levante si merita senza se e senza ma. Scommettiamo che un mare di giovani donne starà cantando allo specchio le canzoni dell’album ed è confortante che portino in bocca le parole di Levante e non quelle di Elettra Lamborghini o Myss Keta. Che poi ci tocca pure dare ragione a Fabio Volo quando sostiene che certa musica, certi atteggiamenti, possano far male quando arrivano a portata di orecchie inesperte.
Non perché sessualmente espliciti ma perché musica semplicemente brutta. Il disco di Levante invece vale; non ci farà strappare i capelli, non è perfetto, la sua orbita ha dei limiti ben precisi, ma vale, su questo non c’è dubbio.
Malika Ayane, "Wow (niente aspetta)”: Voto 6,5
E a proposito di grande personalità femminile questa settimana abbiamo anche l’uscita dell’ultimo singolo di Malika Ayane, fresca del ruolo, ottimamente svolto, come giudice ad X-Factor. Un pezzo che lascia un po' spiazzati, bisogna ammetterlo. Un pop abilmente orchestrato, un po' fuori dagli schemi classici della Ayane, una delle artiste più preparate del nostro panorama. Un pezzo che fa sorridere, che mette in evidenza il divertimento dell’artista nel cantarlo, ma che alla fine non lascia poi granché.
Un esperimento dal quale passano tutti, una sorta di divertissment eseguito alla perfezione, perché la Ayane ha dei numeri da artista di primissimo livello; un’interprete in attesa soltanto del suo capolavoro, che ha davanti a sé ancora tanti anni per stupirci. “Wow (niente aspetta)” è un buon antipasto, di quelli che ti fanno scattare la fame in attesa del disco.
Dente, “Adieu”: voto 7,5
Abbiamo rischiato di perdercelo Dente, capostipite di una generazione di indie venuti fuori prima che scoppiasse la bomba dell’indie, quella che poi, per intenderci, ci ha regalato i Tommasi Paradisi, Gli Stati Sociali e i Calcutti. Una generazione, la sua, piena di talento, “quando l’indie era davvero indie” direbbe un nostalgico a tutti i costi, che si è persa dei pezzi importanti per strada. Poco importa, Dente è tornato con un pezzo, “Adieu”, perfettamente in linea con tutta la sua preziosissima produzione.
Cantautorato vero, onesto, con una linea vagamente più pop, giusto quel pizzico che non guasta affatto, che non oscura il suo timbro unico, quella finta svogliatezza, come se ogni parola gli sia tirata via dalla bocca con la forza, mentre in realtà, naturalmente, è tutto ragionato, figlio di uno stile che in Italia ha solo lui. Se non lo conoscete ancora, correte a recuperarvi qualsiasi cosa abbia cantato, vi si aprirà un mondo.
Lazza, “Re Mida (Aurum)”: voto 7,5
Non conoscete Lazza? Male. Non ascoltate il rap? Confusi da atteggiamenti e look che non vi piacciono? Malissimo. Non sapete cosa vi perdete. Chi ci legge sa che non siamo mai stati inclini a giudicare bene nuova musica solo perché nuova, anzi, ammettiamo che qualsiasi pregiudizio nei confronti, per esempio, dei trapper, sia ampiamente giustificato. Ma Lazza è un musicista e quando a suonare sono musicisti, chissà perché (dato che parliamo di musica), il risultato è sempre diverso, sempre migliore.
Date una possibilità al suo album, magari partendo dai suoi rap al pianoforte, pianoforte suonato da lui. Tu, quarantenne che pensa che la musica si sia fermata a De Andrè; tu cinquantenne che piangi ancora pensando a Celentano, Mina e Battisti; tu che non ascolti niente che non comprenda una confusa ed irritante schitarrata new wave… provateci perlomeno. Lazza ha contenuti, cosa essenziale per un rapper, che in fondo punta tutto su ciò che dice; la sua metrica è solida, precisa e strutturata. Ai concerti si diletta suonando Chopin e i ragazzi applaudono festanti, pur non avendo idea di chi sia Chopin, questo perché la musica, alla fine, la spunta sempre, e con lei i musicisti bravi. Come Lazza.
Giorgio Poi, “Erica cuore ad elica”: Voto 7
Giorgio Poi è la dimostrazione che non facciamo male a tenere d’occhio e seriamente questa nuova generazione di cantautori. “Erica cuore ad elica” si aggiunge alla collana di brani proposti da questo artista di Bomba Dischi, la stessa di Calcutta per intenderci, nell’arco della sua breve carriera (due dischi finora all’attivo). Confermare il proprio talento è complesso almeno quanto scoprirlo e metterlo a frutto, quindi bravo. Bravo Poi, perché è ancor più complicato costruire qualcosa di funzionante parallelamente ad uno stile che deve essere personale, in questo oceano di musica che ogni giorno ci regala nuove bottiglie con dentro nuovi messaggi, nuove richieste di “aiuto”, di ascolto, di click. Ecco, lui è uno di quei naufraghi da salvare.
Giordana Angi, “Voglio essere tua”: Voto 4,5
Non si capisce la necessità dell’esistenza, in qualità di artista ovviamente, di Giordana Angi mentre già ci dobbiamo sorbire altri due cloni come Emma Marrone e Alessandra Amoroso. Affidate la canzone di una all’altra e quella dell’altra alla Angi, e nessuno noterebbe alcuna differenza sostanziale. Il limite di Amici di Maria De Filippi è che crea personaggi che piacciono al pubblico televisivo, non agli ascoltatori, ciò fa si di conseguenza che poi questi ragazzi, che non hanno alcuna colpa se non quella di prendere una strada che porta alla notorietà bypassando passaggi fondamentali della carriera, vengano catapultati sul mercato, pompati al massimo dalle radio per un tot di tempo, per poi finire, musicalmente parlando, con in mano un pugno di mosche.
Perché se devi fare questo mestiere, prima ancora di metterti a contare like, follower, selfie e share, dovrebbe essere tua preoccupazione capire in che modo puoi lasciare la tua impronta; e dovrebbe essere preoccupazione di chi ti lancia capirlo ancor prima di te. Ma tutto ciò in televisione, che non ha alcun dovere rispetto al nostro diritto di ascoltare buona musica, non conta. Così poi viene fuori “Voglio essere tua”, un disco dove non si scorge uno straccio di buona idea, niente che rimanga, niente che non sia già stato sentito un milione di altre volte.
La cosa, non credete, dispiace, perché qui si gioca anche con i sogni di questi ragazzi, che credono, una volta firmato il contratto con una major, in virtù della vittoria di uno show televisivo, di aver realizzato un sogno, trasformando poi la loro vita in un set, un allestimento che si regge con uno sputo, pronto a cader giù da un momento all’altro. Giordana Angi, ha scritto l’ultimo singolo di Tiziano Ferro, ed è un buon singolo, la strada giusta magari potrebbe essere quella, ma il disco, a malincuore dobbiamo ammetterlo, perché poi si fa solo la figura dei bulletti, non ci piace, ci risulta vuoto; l’istinto è quello di cambiare canale col telecomando.