Il 2019, musicalmente parlando, è stato l’anno delle esplosioni. È esploso l’indie, o è morto, come sostengono da anni Le Coliche nelle loro divertentissime parodie. Quel fascino sotterraneo, quelle affascinanti stonature, quel senso di appartenenza a una comunità di nicchia, quel mood, quel modo di ascoltare da parte dell’ascoltatore oltre che di suonare da parte dell’artista, tutto è stato impacchettato e rivenduto a prezzo doppio.
Una bolla che poteva scoppiare o sgonfiarsi, ma la fine quella era, lo psichedelico mondo del mainstream non poteva più ignorare una tale rivoluzione troppo a lungo. Il mercato però è cambiato, questo è quello che ci dicono i dati, e le nuove regole, per quanto permettano a tutti, ma proprio tutti tutti, di incidere con quattro lire musica che ne vale due, d’altra parte offrono anche la possibilità di far uscire fuori talenti che altrimenti sarebbero rimasti ingarbugliati nell’intricata rete della produzione di un disco alla vecchia maniera, condannandoli così alle schitarrate in cameretta e un posto fisso come cameriere alla trattoria sotto casa. E in certi casi sarebbe stato un peccato.
È esplosa Roma, che forse non viveva una stagione da protagonista a certi livelli dagli anni ’70; tutto l’establishment della musica resta a Milano, ok, ma i figli, vecchi e nuovi, della capitale hanno sfornato alcuni dei lavori migliori. È esploso il rap, con una ventina d’anni di ritardo rispetto agli Stati Uniti, ma alla fine ce l’ha fatta, è arrivato anche da noi; questo grazie ad una generazione di artisti che sono finalmente riusciti a nobilitare un genere prima riservato ad uno sparuto segmento di mercato e ora invece, apprezzabile da tutti.
Una rivoluzione culturale, l’abbiamo scritto tante volte, che cambia i connotati della discografia, a partire da chi produce la musica, passando da chi la suona e arrivando a chi la ascolta. Noi, che per quanto rockettari convinti, vagamente talebani, non possiamo più, per esempio, storcere il naso rispetto a certi album rap, che funzionano, suonano, scavano, anche meglio di tanti inutili poeti della domenica, vecchi marpioni della musica leggera, che hanno imparato anni fa la ricetta per far funzionare i propri brani, specialmente in radio e tv, e che ora che radio e tv contano pochissimo, hanno capito che la loro ricetta risulta decisamente indigesta, ai loro concerti non ci va praticamente più nessuno e non sanno che pesci pigliare.
L’anno dell’esplosione sta finendo ed è giusto a questo punto tirare le somme, un po' per gioco, un po' per sfizio e un po' per non dimenticare; vi proponiamo allora la nostra classifica dei 40 album più belli del 2019. Il numero, 40, non è scelto a caso. Volevamo sottolineare come artisti giovani abbiano eseguito dischi migliori di artisti più grandi, di come certi ragazzacci del rap abbiano surclassato vecchie glorie in declino creativo.
Dovremmo commentare a questo punto chi domina la classifica, Daniele Silvestri, per esempio, che porta a casa un anno speciale coronato da un Premio Tenco e anche dalla vittoria al Festival di Sanremo del Premio della critica dedicato a Mia Martini, per altro l’unico riconoscimento credibile della manifestazione; che produce un disco perfetto dove dentro si trova tutto ciò che un ascoltatore alle soglie del 2020 può cercare; un album raffinato, complesso e allo stesso tempo estremamente umano.
Dovremmo esaltare l’exploit del giovane Fulminacci, che dal nulla tira fuori un disco perfetto, moderno, fresco, profondo, il cantautorato della vecchia scuola romana riverniciato nel 2020. Bravissimo. A questo punto dovremmo parlare di Salmo, che nel 2019 svezza tha Supreme (classe 2001) nel quarto capitolo della sua splendida saga “Machete Mixtape” per poi buttarlo in acqua e vederlo nuotare alla grande con il suo genialoide album d’esordio “23 6451”.
Potremmo parlare di Vinicio Capossela, approfittando per ringraziarlo per l’ennesima perla rara, oppure esaltare dischi che classifichiamo molto in alto come quelli de’ La Municipal, dei Pinguini Tattici Nucleari o dei Coma_Cose. Ma per tutti loro, finché curiosità muoverà il vostro cursore su Spotify, parlerà la musica.
Invece preferiamo farvi notare chi non c’è in questa classifica, come Luciano Ligabue, che mentre le lancette scorrono si ostina a sbagliare dischi, a non pretendere di più dal proprio immenso talento. Oppure Ultimo, che ha già ricevuto la nomina a cavaliere del cantautorato romano da chi non possiede più da tempo alcuno scettro e potere per darla; ancora troppo piccolo, troppo in fermento per le classifiche (Sanremo docet) e troppo poco per ciò che ha da dire agli altri, schiavo di una modestia di plastica alla quale possono abboccare solo ragazzine ancora a asciutte di vita vera; senza un’idea che possa anche solo alla lontana risultare innovativa o stravagante, tutto invece è piatto e uguale a se stesso.
Mancano due mostri sacri come Mina e Fossati, che hanno pensato questo disco per anni ma sono arrivati in ritardo e tutto così ci appare, seppur ben fatto, perlomeno stucchevole, un po' quello che vale per Celentano e il suo “Adrian”. Manca Renato Zero, vuoto di quella lucida follia che tanto ce l’ha fatto amare, e Biagio Antonacci, tradito da quel pubblico che crescendo è passato ad altro. Restano fuori i Modà, che provano a riprendere in mano le redini di una carriera riproponendo sempre la stessa solfa buona per qualche passaggio in radio, ma che poi si ferma lì, specie in un periodo in cui la radio, perlomeno per conoscere nuova musica, non la usano nemmeno più i nonni.
E resta fuori anche Fedez, autore dell’album forse più brutto dell’anno, che non salva nemmeno la propria immagine facendo la sua solita porca figura davanti alle telecamere targate Sky di XFactor, alle quali ha rinunciato per motivi che non indaghiamo. Ora è però il momento di tagliare con le parole e far parlare gli artisti, perlomeno quelli che con il loro disco hanno lasciato un’impronta in questo 2019.
- La terra sotto i piedi – Daniele Silvestri
- Tradizione e tradimento – Niccolò Fabi
- Machete Mixtape 4 – Machete Crew
- La vita veramente – Fulminacci
- Ballate per uomini e bestie – Vinicio Capossela
- 23 6451 – tha Supreme
- Iodegradabile – Willie Peyote
- Persona – Marracash
- Bellissimi difetti – La Municipal
- È sempre bello – Coez
- Fuori dall'hype – Pinguini Tattici Nucleari
- Hype Aura – Coma_Cose
- I Hate My Village - I Hate My Village
- Liberato – Liberato
- Vivi per sempre – Canova
- Poesia e civiltà – Giovanni Truppi
- Tenebra è la notte e altri racconti di buio e crepuscoli – Murubutu
- Stanza singola – Franco126
- Afrodite – Dimartino
- Carne cruda a colazione – Giovanni Succi
- Smog – Giorgio Poi
- Animali notturni - Fast Animals and Slow Kids
- Paura e l’amore – Sick Tamburo
- Re Mida - Lazza
- Accetto miracoli – Tiziano Ferro
- Gioventù Bruciata - Mahmood
- Morabeza - Tosca
- Corochinato – Ex-Otago
- Natura Viva – Eugenio In Via Di Gioia
- È un momento difficile tesoro – Nada
- La differenza - Gianna Nannini
- Ho bisogno di dirti domani – Nicolò Carnesi
- 1969 - Achille Lauro
- D.O.C. – Zucchero
- Ex voto - Aiello
- Tutti amiamo senza fine - Siberia
- Zerosei - Frenetik & Orang3
- Scatola Nera – Gemitaiz e MadMan
- Magmamemoria – Levante
- La pizza il pop la musica elettronica – Le Mandorle